L’artista salentino proporrà una mostra personale a Roma, dal 21 aprile, nello spazio dell’associazione culturale “Micro - Arti Visive”
“Dietro le quinte si nasconde tutto quello che è scena, offre l’opportunità di conoscere il mio mondo, senza suggeritori, in modo essenziale e pulito… Dietro non c’è soltanto Biondi e ciò che predico, ma un miscuglio di assonanze che muovono verso l’infinito. Nel momento in cui scatta la scintilla del duende, quel fuoco interiore, è in quel momento che scatta anche il meccanismo del colore, dell’essere artista e pittore da sempre. Dietro le quinte ci sono dunque le gioie, le elucubrazioni, il mio sentire, gli odori dell’arte, il mio colore”. È il “racconto” che ci offre l’artista salentino Uccio Biondi, in questi giorni alle prese con gli ultimi dettagli di preparazione all’imminente mostra romana.
Chiara è, dalle parole dell’artista pugliese, la volontà di esporre al pubblico questo “impasto” – per utilizzare una sua espressione – fatto di rossi, di gialli, di aranci, di blu, di nero carbone con la fotografia, gli stracci recuperati, i frammenti di tela rammendati, le stoffe, le carte e materiali vari, “un magma architettonico di tessere irregolari pur sempre registrato dal mio segno e dalla mia gestualità”, aggiunge. È questo il pensiero attorno al quale si articola la mostra “Uccio Biondi. Dietro le quinte, dentro al colore”.
La personale, a cura di Paola Valori, sarà inaugurata giovedì 21 aprile nello spazio dell’associazione culturale “Micro – Arti Visive di Roma, che ospiterà un’accurata selezione di circa venticinque opere, atte a ripercorrere l’itinerario artistico dell’ultimo decennio non priva, tuttavia, di puntuale attenzione alla produzione degli ultimissimi tempi di un’intensa attività ancora in itinere.
Classe ‘46, Uccio Biondi avvia le sue prime indagini estetiche da autodidatta, per poi frequentare, negli anni seguenti, l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Dopo un’iniziale produzione legata alla tradizione figurativa, rivolta principalmente a tematiche strettamente legate alla questione meridionale e alle problematiche ad essa connesse, approda – dopo un breve distacco dal mondo dell’arte – alla cultura aniconica e informale che sarà propria della produzione ascrivibile ai primi anni Ottanta.
Dalle sperimentazioni non figurative, derivano, seppur distanti per certi aspetti, le “Reincartazioni”, lavori a cui, alla totale astrazione che aveva interessato le opere precedenti, si alternano elementi polimaterici, ritagli e disegni di figure femminili, collage di corpi nudi che campeggiano sulle masse cromatiche.
L’attenzione di Uccio Biondi all’universo femminile, è ciò che potremmo definire fil rouge della sua articolata produzione. Il bisogno del corpo diventa palpabile con le pitture tattili e le alto-pitture, in cui colore e segno sconfinano la bidimensionalità della superficie pittorica per accogliere la terza dimensione, convivendo armoniosamente, e nelle installazioni sotto forma di pittura, o meglio installature come le ha battezzate l’artista.
Guardando questi lavori (che saranno ordinati negli ambienti in Viale Mazzini) non può essere sottaciuto l’incontro di Uccio Biondi con le opere dell’artista pop, George Segal, viste in occasione della mostra a Brindisi del 1999 e poi di una retrospettiva proprio a Roma, nel 2002. I gessi monocromi di Segal lo orientano anche nella lavorazione dei corpi plastici femminili; non a caso Biondi utilizza i medesimi “celloni”, bende gessate in cotone ad uso ortopedico, già usati dallo scultore americano. Ferma nei calchi la fisicità dei modelli e, senza rinunciare alla sua natura di pittore, tinge delle più energiche tonalità le sue opere.
È proprio con una delle sue installature che inaugurerà, tramite una performance (come non di rado avviene nelle sue personali), la mostra. In seguito ad una conversazione di certo interesse con l’artista, un po’ come se fossimo “dietro le quinte” (potremmo dire rimandando al titolo della personale), Biondi svela in anteprima alcuni dettagli relativi a questo “dialogo performativo”. “È una performance che potremmo definire un po’ visionaria, non è una vera e propria performance, è un modo di esaltare l’elemento visionario e anche teatrale, io sarò, di fronte a questo gesso, seduto su una poltroncina da teatro con delle barchette verdi”.
È un gesso totalmente blu, l’importanza del colore a cui Biondi non ha mai rinunciato nonostante le sue sperimentazioni nell’ambito plastico, una donna nuda, dalla fisicità generosa, con il capo coperto da un bianco turbante fatto di bende e i ben riconoscibili occhiali da saldatore, che potremmo definire la firma dell’artista. “Farò parlare questa scultura, attraverso una voce registrata che reciterà in maniera lenta e cadenzata, un pezzo del mio testo – Pulsioni. Racconti dell’afa. Pretesti di scena noir – il mio primo e unico libro di racconti. Con fare lieve, l’installatura svelerà il senso di una parola che poi diventa parola sillabica, sono parole di carta. Frasi, parole, scritti su pezzetti di carta, che poi andrebbero appallottolati e scaraventati per terra. Il titolo è appunto LOVE. Sillabe di carta, (un omaggio a Léo Ferré) un incipit di questo mio testo, un pretesto per una prossima pièces”, ci precisa.
L’artista, al buio, disegnerà con una torcia luminosa i punti strategici della installatura, i presenti non vedranno persone che si muovono, ma ascolteranno questo gesso che “parla” un teatro performativo, insomma, di sconfinamento tra arte visiva e tradizionale teatro, che definisce “la sua seconda pelle”.
Protagonista di queste indagini estetiche allestite, è ancora la donna contemporanea, molto cara all’artista che opta per modelli dal vero; diversamente da quanto avveniva nelle Reincartazioni, Biondi non preleva le immagini dal rotocalco, non sono donne delle riviste patinate, non riprendono i modelli delle pin up, sono donne che rispondono ad una forte esigenza di verità. Biondi affronta questo tema schivando gli stereotipi di perfezione vomitati continuamente dai social media, altrettanto libero dai soliti cliché di femminismo esasperato. Col supporto di amiche e conoscenti, coinvolte in una sfida sicuramente audace, le donne riconducono “al loro vero spazio psicologico, complesso e misterioso, e mai completamente svelato” per dirla con Galante, si impegna nel far vivere e valere la femminilità in tutti i sensi.
Accade che, con passo cronachistico, gli artisti non manchino di presenziare con opere di piena retorica all’evento o all’emergenza del momento. Diversamente, Biondi, artista colto e puntuale, affronta le tematiche quanto mai attuali con coerenza ideologica (lo attesta la sua carriera artistica). Nell’opera No war – sberleffo (2022), si interessa al tema della guerra, e non è la prima volta, spogliandolo di ridondante pretestuosità, come suggerito già dal titolo. Il fare etico e attento dell’artista lo ha già visto impegnato in lavori contro la violenza e la discriminazione, mi vengono in mente la mostra Pane e Acqua (1995) o ancora l’installazione Durch Den Kamin (2006) che affronta una delle pagine più buie della storia dell’umanità, la shoah e quell’opera, ci anticipa l’artista, presto tornerà ad essere visibile e di monito al pubblico, in un allestimento estivo. È evidente che l’artista ha bisogno di rappresentare se stesso come gesto politico: “Non sarebbe un artista coraggioso se non fosse anche un po’ politico”, ci dice Biondi.
Questa personale “tutta al femminile” – vorrei dire – non manca di coinvolgere direttamente donne del teatro, della scrittura, della musica e dello spettacolo: Alessandra Panelli, Cinzia Leone, Margherita d’Amico, Ginevra Giovanelli, Cristina Polegri e Roberta Beta che saranno presenti all’inaugurazione come “madrine” della mostra. Visitabile fino al 5 maggio 2022, la mostra è corredata dal catalogo Gutenberg Edizioni contenente il testo di Paola Valori e i contributi dei critici d’arte Simona Capodimonti e Marcello Francolini.
Alessia Brescia
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Foto in alto: l’artista Uccio Biondi con la sua “installatura”
L’installatura protagonista della performance LOVE. Sillabe di carta
Uccio Biondi, No war – sberleffo, 2022
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