Il progetto “Studi d’artista” è organizzato dal Dipartimento di Beni culturali dell’Università del Salento con un calendario che prevede incontri in differenti studi di artisti salentini. L’obiettivo è quello di scoprire spazi non solo fisici ma anche mentali in cui creare e, come nel caso del primo incontro con lo scultore Salvatore Sava, lo studio diviene un’opera d’arte ambientale, esso stesso contenitore e opera.
L’artista ha aperto agli studenti e alle studentesse le porte dell’appartamento-atelier in via Galileo Galilei 48 a Surbo, restaurato e arricchito di opere realizzate durante i due anni di pandemia. Alla fine del tour guidato, che ha visto Sava illustrare i punti salienti del lavoro edile e artistico, è stata effettuata una breve intervista che ha permesso di chiarire dei punti importanti dello stile artistico dello scultore tra progettazione ed esecuzione e scelta dei materiali.
Durante la visita lei ha parlato di periodi caratterizzati dall’uso di colori come il fucsia, il bianco e il nero. Si identifica spesso in questa suddivisione netta di periodi e colori?
Il bianco si trasforma subito in nero. Quando utilizzo il nero, intorno ho tutta la superficie bianca… Ad esempio, due mesi fa avevo intenzione di ritornare sul tema della Xylella che dal 2016 ho sempre affrontato sul campo, nel vero senso della parola, attraverso innesti sugli ulivi, ciò mi ha fatto trascurare, ovviamente, la scultura in studio. Gli ulivi da me accuditi sono ormai vivi e stanno bene, intorno a me rimane comunque un territorio desertificato a causa anche degli incendi, per questo motivo, all’incirca due mesi fa, credevo di trovarmi in un periodo in cui utilizzavo il bianco con una pittura però materica, con superfici che richiamo tronchi, paglia, legno per simulare i boschi secchi. Dopo un po’ di giorni in cui avevo dato largo spazio all’utilizzo del bianco, per riportare attenzione sul tema della Xylella, è scoppiata la guerra in Ucraina e tutto il resto è passato in secondo piano. Un tema così atroce, impegnativo, non ha lasciato spazio ad altro argomento territoriale, quindi, sono ritornato dal bianco al nero. Il fucsia lo utilizzavo in tempi remoti, intorno all’ultimo anno della formazione accademica. I colori facevano da padrone sulle tele o sui supporti materici come il legno. È un periodo durato molto poco ma con colori vivacissimi e forme stilizzate, come aquiloni colorati che tagliavano cieli azzurri. Il nero ha poi preso il sopravvento.
Spesso, durante la visita, ha fatto riferimento all’utilizzo di vecchio mobilio e in particolar modo di un lavandino trovato nell’appartamento che ha (ri)utilizzato per la creazione di un’opera con spighe gialle. Sente vicina l’importanza di utilizzare materiale da recupero?
Se c’è un materiale che può essere recuperato, riutilizzato, per rappresentare un’opera non vedo perché debba comprarne di nuovi. In questo caso, avevo questo lavandino che era stato ben tenuto nel tempo, volevo valorizzarlo creando qualcosa di nuovo. Inoltre, faccio riferimento al periodo di lockdown e non si poteva uscire per comprare nuovi materiali. Questo lavandino è un’opera che è stata anche esposta nella mostra virtuale del MIG di Castronuovo di Sant’Andrea a cura di Giuseppe Appella, il quale richiedeva lavori effettuati durante il periodo di confinamento dovuto al Covid-19.
La progettazione delle opere avviene con l’utilizzo della xilografia o litografia in studio ma ci sono stati dei casi in cui necessitava di studiare lo spazio circostante che avrebbe fatto da contenitore all’opera in situ?
Le xilografie e litografie le effettuo in un altro studio, non in questo in via Galilei. In linea di massima, in qualche mia prima produzione realizzavo schizzi. Il più delle volte dallo schizzo alla realizzazione dell’opera passa troppo tempo! Ad esempio, preferisco sempre l’ultima idea rispetto allo schizzo/progetto realizzato due ore prima o il giorno precedente. Deve essere rappresentata l’immediatezza, altrimenti l’ultima idea annulla ciò che era stato pensato precedentemente. La realizzazione di una mia opera avviene in poco tempo, massimo tre giorni di esecuzione. A mio avviso, l’opera deve essere sempre ‘fresca’, deve mantenere una certa ‘freschezza’, se si ritorna a lavorare sulla stessa opera in più riprese l’opera diventa un’altra cosa. Il primo giorno riguarda l’abbozzo, il secondo si procede a raffinare, il terzo l’opera la completi e la firmi; il momento della firma è fondamentale, in quell’istante si determina la fine dell’esecuzione e non si deve più intervenire, altrimenti diventa un’altra cosa dall’idea iniziale. Ad esempio, alcune opere che sto preparando negli ultimi giorni sono in pietra leccese, con delle lievi scalpellature, successivamente ho deciso di levigarle per vedere se l’effetto visivo poteva funzionare, così non è stato, perciò ho deciso di rifare i solchi precedenti per riportare l’opera alla ‘freschezza’ dell’idea originaria.
Ludovica Vivenzio
© Riproduzione riservata
In alto: un momento dell’intervista a Salvatore Sava
Leggi anche:
Al via il progetto “Studi d’Artista”