Nuova edizione del contributo di don Michele Arcangelo Martina con aggiornamenti*
Origine del nome
Secondo un’ipotesi tradizionale il nome Salice deriverebbe dagli alberi presenti nel territorio. In effetti dove oggi sorge il nostro paese, anticamente vi era una grande foresta, parte integrante della grande foresta di Oria. In essa abbondavano piante del genere salicacee, dette volgarmente “salici”, probabilmente non “salici piangenti” ma la specie simile all’olmo. Infatti nell’antico stemma del Comune di Salice l’albero raffigurato è simile a un olmo. Mentre un’altra ipotesi più recente, storicamente abbastanza verosimile, sostiene che il nome derivi dal cognome “Salice” dei suoi primi signori feudatari risalenti al tempo dei Normanni. E tale famiglia di cognome “Salice” esisteva prima che il luogo divenisse un casale. Tant’è che la chiesetta basiliana di S. Nicola (futuro nucleo iniziale del casale), di cui si dirà dopo, sarà molto presto denominata “S. Nicola di Salice”. E nell’antichità era uso consueto che casali, masserie e vari tipi di agglomerati, prendessero il nome dal cognome o denominazione dei signori proprietari. “Salentino” ovviamente fu aggiunto dopo, per distinguerlo da altri paesi con lo stesso nome esistenti in altre regioni d’Italia.
Origini storiche
Per lungo tempo si è pensato che anticamente Salice fosse un casale, ossia un piccolo agglomerato di case di contadini, noto come “Pozzovivo”, distrutto nel IX-X secc. dai Saraceni, i cui superstiti si rifugiarono poco più avanti in una zona detta “Pozzonuovo”, dove c’erano le abitazioni delle famiglie più antiche. Ma studi più recenti permettono di focalizzare il nucleo storico delle origini in altro modo; vale a dire: in seguito alle persecuzioni degli imperatori bizantini dei secc. VIII-IX nei confronti delle immagini sacre (“persecuzione iconoclasta”) e di coloro che ne erano veneratori e diffusori, molti monaci basiliani e vari profughi si rifugiarono nel meridione dove era la cosiddetta Magna Grecia. Nel sec. IX poi le continue invasioni dei saraceni costrinsero le comunità monastiche e gli agglomerati di case e famiglie a una ulteriore dispersione. Ma in seguito gli imperatori Niceforo Foca, Basilio il Macedone e Costantino, per ripristinare le istituzioni greche e ripopolare i territori sconvolti dalle invasioni saracene, permisero ai monaci basiliani e alle famiglie di contadini di occupare le terre e di costruire chiese, fattorie e casolari.
Verosimilmente Salice fu uno dei casali fondati dai monaci basiliani, partendo inizialmente da una cappella basiliana dedicata a S. Nicola (che negli anni seguenti, cioè nel 1092, viene citata nella I Concessione di re Ruggiero, poi confermata nel 1102) e via via divenendo un fiorente e ricco casale, molto presto alquanto considerato dal punto di vista strategico, perché situato sul confine tra le terre dei Principi di Taranto e quelle dei Conti di Lecce. In documenti antichi, il nome “Salice” dunque appare per la prima volta in un Diploma di Ruggiero “il Normanno”, Duca di Puglia, datato 10 aprile 1102.
Probabilmente dalla metà del sec. XIII, alla luce dei documenti esistenti, ha inizio la cronologia feudale di Salice. Da essi risulta che uno dei primi feudatari, nativo di Salice, fu Tommaso da Salice (sec. XIII), che la storia pugliese ricorda come uno degli oppositori più valorosi di Manfredi, successore dell’imperatore Federico II. Dopo aspre lotte armate contro i rivoltosi in Puglia, Manfredi, tra l’altro fece prigioniero anche Tommaso da Salice, che, sicuramente, fece morire facendolo appendere a uno dei merli della torre quadra della fortezza di Oria.
Salice è riportato ancora in un Diploma di Guglielmo “il Buono” dell’anno 1172 e, in seguito, in una Ordinanza di Carlo I d’Angiò dell’anno 1269. Dopo 25 anni da quest’ultima data, nell’anno 1294, Salice, che nel frattempo si era accresciuta alquanto, da casale fu elevato al rango di baronia. Di questo si hanno poche ed incerte notizie. Tuttavia pare che uno dei primi baroni di Salice sia stato un certo Pandolfo, appartenente alla nobile famiglia degli Aldemorisco, originaria della Grecia ma che da tempo si era stabilita a Napoli.
Gli Orsini del Balzo
Dopo varie vicende non sempre liete, nel 1392 Salice passava sotto il dominio di Raimondello Orsini Del Balzo, che in Puglia si era affermato nobile e valoroso cavaliere. Essendo diventato Principe di Taranto e di tutta la Terra d’Otranto, dopo il ritorno dalla Terra Santa, a Salice, Raimondello costruì un sontuoso castello, che in seguito è stato trasformato in abitazioni private, e una serie di casette che lo fronteggiavano. A Salice, l’Orsini, passava le sue ore di riposo e di svago ed essendovi una campagna ricca di alberi selvatici, spesso vi faceva battute di caccia.
Il dominio spagnolo
Dopo la morte dell’Orsini, avvenuta il 7 gennaio 1405, Salice passò sotto il dominio di vari signori feudatari e subì le tristi conseguenze delle guerre tra i vari casati. Finito il dominio Aragonese in Puglia, con la rinuncia al trono di Federico d’Aragona, avvenuto il 16 settembre 1501, Salice passava sotto il governo del Viceré Spagnolo. Fu quello un periodo molto triste. Alla miseria degli anni precedenti si unì la peste che contagiò tutta la regione, in più il territorio fu scosso da violenti terremoti.
In questo periodo Salice fu sotto il dominio di vari e prepotenti feudatari, finché il Barone Aloise Maria De Paladinis, nel 1569, lo vendette per 25.300 ducati, al nobile Giovanni Antonio Albricci, il cui casato era originario di Como, che stabilitosi a Lecce ne acquistò la cittadinanza. Albricci, padrone di molti casali, preferì vivere con la famiglia a Salice e andò ad abitare nelle cosiddette “Case del re”. Seppe governare molto bene questo piccolo paese tanto che il re di Spagna, Filippo II, nel 1591, gli conferì il titolo di marchese di Salice. Si deve alla generosità del marchese la costruzione del convento dei frati minori francescani nel luogo dove sorgeva una piccola chiesa dedicata alla Madonna del Soccorso. Quest’ultima fu ricostruita (e ampliata) accanto al Convento, iniziato nel 1587 e terminato dieci anni dopo, nel 1597, anno in cui Giovanni Antonio Albricci morì. Il marchese venne seppellito sotto l’altare maggiore della suddetta chiesa, oramai intitolata alla Madonna della Visitazione, dove aveva fatto costruire una tomba per la famiglia.
Agli inizi del secolo XVII nel Regno di Napoli, subentrarono all’antica casata dei Paladini, dei Baroni di Campi e del Marchesato di Salice e Guagnano, gli Enriquez, nobili spagnoli del ramo dei Bolano di Castiglia. In quegli anni il malcontento delle popolazioni meridionali, costrette a soprusi di ogni genere e, in particolare, al pagamento di dazi e gabelle dovuti al vessatorio governo spagnolo e alla tracotanza dei feudatari, cresceva sempre più fino a diventare rivolta violenta: in Salice, come in molti altri paesi meridionali, ci furono tumulti sulla linea di quelli di Palermo e di Napoli (1647). Degli Enriquez ricordiamo Gabriele Agostino, di cui restano a Salice i restauri di abbellimento apportati al Convento dei frati minori e l’istituzione della fiera, intorno all’anno 1662, che si svolge ogni anno dal 30 giugno al 3 luglio, giorni dedicati alla festività della “Madonna della Visitazione”.
Periodo borbonico
Nel 1749 terminava il dominio degli Enriquez su Salice e subentrava quello dei Filomarino-Enriquez che durò fino al 1845. Cessava pure la dominazione Spagnola e si affermava il Regno delle Due Sicilie sotto Carlo III di Borbone. Questi, libero da ogni pressione e influenza straniera, iniziò un processo riformatore che, continuato da Ferdinando IV, portò ad un buon rinnovamento del meridione. Tuttavia, le popolazioni non mostrarono interesse per le riforme attuate, perché erano prese dalla lotta quotidiana per l’esistenza, minacciata dalla fame, dalla miseria e da epidemie. Il 20 febbraio 1743, a seguito di un violento terremoto, molti paesi furono rasi al suolo. Anche Salice subì il crollo di alcune case, lesioni e danni al convento francescano, così come al tetto e ad alcuni altari della chiesa matrice.
Nel periodo della Restaurazione in Salice, come altrove, si formarono numerose sette segrete (una tra le più conosciute a livello nazionale ed europeo era la Carboneria) che, spesso, in queste terre, anziché motivi politici di opposizione alla monarchia assoluta avevano scopi criminosi. Di esse citiamo i “Figli di Sofia” con a capo don Vittorio Capocelli, ex frate minore; i “Decisi”, il cui motto era “Tristezza, morte, terrore, lutto” con a capo don Pietro Baldassarre; i “Figli di Sofia e Patrioti” guidati da don Francesco De Castris; i “Decisi e Filadelfi” capeggiati da don Lelio Capocelli (il “don” ci fa capire che si trattava quasi sempre di signorotti del paesino). Tra l’altro, si narra che Lelio Capocelli e i suoi spregiudicati seguaci commisero frequenti atti di violenza anche in pubblico e addirittura degli stupri nella chiesa di S. Giovanni Batista (poi intitolata a S. Filomena nel 1834), da molti anni ormai chiusa al culto (tuttavia restaurata nel 2023, in vista di un suo utilizzo culturale).
Dall’Unità d’Italia ai nostri giorni
Nel 1861 fu proclamato il Regno d’Italia, con la conseguente annessione del Mezzogiorno allo Stato unitario, ma non sparì subito lo squilibrio nei rapporti fra lo Stato e la società italiana. Tra l’altro, l’unificazione, trasformò il fenomeno del “brigantaggio” in una sorta di banditismo sociale, conferendogli caratteri peculiari anche sotto il profilo politico. Nel Salento, incluso Salice, in specie negli anni 1860-65, il brigantaggio è stato un fenomeno secondario, tuttavia anche qui numerose furono le bande che operarono, lasciando, chi più e chi meno, tracce indelebili nella storia dei vari paesi, macchiandosi di molti reati fra omicidi, rapine, estorsioni, sequestri di persona, incendi, furti di bestiame, resistenza e tentati omicidi a componenti della forza pubblica. Perciò anche questo problema contribuì a paralizzare l’ascesa del Mezzogiorno, producendo gravi effetti e procurando forti preoccupazioni al nuovo governo. Il brigantaggio fu soltanto il primo dei grandi problemi che la nuova Italia dovette affrontare nelle province meridionali. Solo il primo di una lunga serie che porterà alla costituzione della complessa “Questione Meridionale”.
Una figura locale molto importante nel periodo dell’unificazione d’Italia, è stato Arcangelo De Castris, nato a Salice Salentino il 25 gennaio 1835 da una famiglia dalle antiche tradizioni illustri e nobili derivanti dal vecchio patriziato spagnolo. Fu uomo benefico e filantropo e si devono a lui molte istituzioni pie a sollievo delle classi povere. Fu, come detto prima, una figura importante al tempo degli avvenimenti storici del Salento per l’unificazione d’Italia e con le elezioni comunali del 1869 fu eletto sindaco. Determinò con la sua opera un’amministrazione impegnata ad apportare realizzazioni in vari settori: tra l’altro ricordiamo la costruzione del Municipio nel 1889. Il 4 dicembre del 1890 fu nominato Senatore del Regno dal Crispi. Fu insignito di molte onorificenze italiane ed estere, tra le quali quella di Gran Dignitario e Commendatore della Legione di Malta e Cavaliere dell’Ordine di Nikion, del Bey di Tunisi. Il De Castris morì il 13 agosto del 1905 lasciando la giovane moglie e la figlioletta Maria Luisa la quale ereditò gran parte dei beni paterni, nonché la nobiltà dell’antica casata, che doveva poi fondersi e perpetuarsi in quella dei Leone di Salice, sposando l’avvocato Piero Leone.
Agli inizi del secolo XX il popolo salicese ha ormai una coscienza nazionale e partecipa attivamente ai risvolti storici del Paese. Pertanto, il seguito della storia di Salice risente completamente degli avvenimenti nazionali ed internazionali. Ma, considerando le grandi guerre, le conseguenti crisi del dopoguerra, il fascismo, il progresso scientifico e tecnologico, spiccano i grossi nodi che emergono e incidono nel tessuto storico più recente. La famosa “Questione del Mezzogiorno”, è ancora a tutt’oggi da risolvere completamente: i miglioramenti socio-economici a livello nazionale, specialmente quelli degli anni Cinquanta-Sessanta con il forte sviluppo industriale, l’ingresso dell’Italia nel Mec (Mercato europeo comune), le esportazioni, l’aumento occupazionale, l’accrescimento del reddito familiare… così come la crescita culturale avvenuta anche grazie a un’ampia scolarizzazione dei giovanissimi e un generale progresso in tutti i settori, per la verità non hanno un effetto diretto sul Mezzogiorno; pertanto, le tante lacune in tutta quest’area sono ben visibili globalmente nel concreto della vita dei paesi che ne fanno parte.
don Michele Arcangelo Martina
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BIBLIOGRAFIA
– Michele Arcangelo Martina, Brandelli di cultura e religiosità popolare a Salice Salentino, Panico, Galatina 1997.
– Giovanni De Nisi, Salice terrae hidrunti – Storia aneddotica dal X al XX Secolo, Esse-Gi-Esse, Ostia 1968.
– Giuseppe Leopoldo Quarta, Salice Salentino dalle origini al trionfo della giovane Italia 1001 – 1860, Panico, Galatina 1989 (Quaderno della Biblioteca Comunale di Salice Salentino).
– Gilberto Spagnolo, Salice Salentino: Il nome, le origini, uno dei primi feudatari, in “Quaderno di Ricerca”, Crsec Regione Puglia (Campi Salentina) / Comune di Salice Salentino – Assessorato P.I. e Cultura, Panico, Galatina, aprile 1987, pp. 66-86.
– Crsec Regione Puglia (Salice Salentino – Campi Salentina), Quaderno di Ricerca, Panico, Galatina, voll. 1985, 1986, 1987, 1988, 1989.
– www.comune.salicesalentino.le.it/Territorio/Cenni storici [10-1-2012].
– www.rosariofaggiano.it/breve-storia-di salice_content_2309_5.htm [12-7-2018].
*Il presente contributo è una nuova edizione, con aggiornamenti, dell’articolo “Breve storia di Salice” di don Michele Arcangelo Martina, pubblicato il 9 giugno 2018 sul sito www.rosariofaggiano.it.
In foto: Salice Salentino, via Umberto I (cartolina del 1939)