Numerosi sono i sostenitori della concezione secondo cui il passato è passato: esiste solo il presente e, secondo tale ottica, è necessario andare avanti, proseguendo senza voltarsi a guardare ciò che è stato. Non sono gli eventi passati che devono essere aboliti, al contrario, dev’essere cancellata l’opinione secondo cui si possa fare a meno di essi.
I processi mnestici, che implicano scientificamente procedure di acquisizione e codificazione dei segnali esterni, stabilizzano nel tempo informazioni al cui recupero è concesso attingere mediante il richiamo o il riconoscimento. Il ricordo, in particolare, ha sempre a che fare con la sfera emotiva che concerne ognuno di noi: l’esperienza tangibile forgia la nostra individualità, segna la nostra esistenza, contribuendo a plasmare e a modificare costantemente il nostro vivere quotidiano.
Nondimeno importante è l’azione filtrante che la memoria svolge: determinate vicende, sensazioni, emozioni, positive o negative che siano, ma fissate nel nostro bagaglio di vita più di altre, rimangono impresse e vivide, persistendo nel corso del tempo.
«Nella nostra esistenza, dove tutto fluisce come acqua che scorre, solo i fatti che hanno contato non si depositano sul fondo, ma emergono alla superficie e raggiungono con noi il mare», asserisce la scrittrice francese Marguerite Yourcenar.
Attingere al recupero del proprio vissuto è stato il singolare compito al quale si è sottoposto il pittore salentino Roberto Buttazzo, che elabora un libro, una personale raccolta, dal titolo Prima che mi dimentichi – poderosa pubblicazione nei tipi di Editrice Salentina – nella quale scritti di episodi ed avventure di vita si alternano alla sua arte, dallo scopo narrativo, caratterizzata da ritratti disegnati con pastelli e carboncini, lumeggiati di bianco, esposti in mostra dal 12 al 17 marzo 2022, presso la Fondazione Palmieri di Lecce.
Classe 1945, Roberto Buttazzo nasce a Lequile e si forma all’Istituto d’Arte di Lecce. Dopo un soggiorno di alcuni anni a Milano, ritorna in terra salentina dove, dopo un primo periodo incline all’insegnamento dell’Educazione artistica, giungerà a dedicarsi esclusivamente alla produzione pittorica.
Attraverso i ritratti, esposti alla mostra temporanea presso la Fondazione Palmieri, l’artista si è posto il principale obiettivo di presentare al pubblico dei fermoimmagine della sua esistenza: all’interno del suo libro i disegni sono accompagnati da scritti, che costituiscono un insieme di rimandi a vicende e ricordi, aneddoti che hanno contribuito ad arricchire il suo vissuto, racconti di personaggi verso il quale nutre rispetto e ammirazione.
Il significato intrinseco di ogni episodio, un po’ tratteggio un po’ parole, cela un valore etico, un insegnamento che induce a sviluppare considerazioni e riflessioni. Si tratta di un processo di codifica che gli permette di percorrere a ritroso le tappe fondamentali che hanno modellato non solo la sua realtà artistica ma anche, e forse soprattutto, i principi umani su cui si basa la sua visione della vita. Ed il passato che vuole raccontare è fatto di rapporti umani, di conoscenze e incontri, di leggere vicende, di punti di vista divergenti, giungendo all’esaltazione di doti morali ed intellettuali, prima fra tutti la libertà d’espressione.
La narrazione ha inizio mediante brani che riportano il legame che Roberto Buttazzo ha con il suo nido familiare: racconti intimi che rivelano i rapporti dell’artista con i fratelli, con la figura del padre e con quella della madre, colei che, prima di chiunque altro, capì «quanto il virus dell’arte si fosse già impossessato del mio corpo. Comprese, quanto questa passione, sarebbe stata la compagna che mi avrebbe guidato e ammorbidito l’infelicità del vivere», come sostiene lo stesso artista nel libro.
Si prosegue con racconti riguardanti amici, religiosi e atei, tra cui riaffiorano i nomi di Edoardo de Candia, Leandro Ezechiele, l’amico scultore Nino Rollo, il gallerista Domenico Pacione, a cui è legato il curioso episodio della “vendita sfumata” di quattro quadri; e ancora si citano Vittorio Balsebre, Norman Mommens, il mercante d’arte Gianni Mattioli, Marcello Gennari, Renato Centonze, Francesco Pasca e molti altri.
Nel brano La bottega formante, l’artista racconta del forte sentimento che lo lega al poeta-falegname Saturnino Primavera: un omaggio alla sua casa-bottega, all’interno della quale il profumo del legno si fondeva con versi di poesie, «capaci di trasformare la bottega in teatro». Il vincolo affettivo tra i due è stato un punto cruciale per la crescita personale e artistica di Buttazzo, che decide di far posare l’amico Saturnino, per la rappresentazione dell’Apostolo Simone, nel Cenacolo realizzato per la Chiesa Madre di Tricase, nel 1993.
Anche il tema della censura vede protagonista Roberto Buttazzo in una serie di «vicende di gratuita ingiustizia», come lui le definisce, riguardanti non solo il territorio nazionale, come le Storie di San Vito, ossia le tre pale d’altare commissionate per il Presbiterio della Chiesa Madre di Lequile, ma anche quello internazionale, come l’episodio raccontato nel brano Il sapore della censura, che lo vede attivo in Francia. A Grenoble venne bandita un’iniziativa artistica che interessava la Chiesa di Saint-Louis: numerosi artisti, accorsi dai più diversificati territori nazionali, presentarono un progetto grafico e pittorico che sarebbe stato proiettato, mediante l’adozione di diapositive, sulla facciata dell’edificio.
Le analisi effettuate da Buttazzo lo condussero alla progettazione di un connubio che potesse fondere la sfera del sacro e quella del profano: «Più la osservavo e più quel contorno mi riportava ai fianchi di una donna. Quelle linee morbide strette in alto, larghe e sinuose in basso mi ispirarono un bacino», dichiara l’artista. E così tutte le sue idee giunsero a concepire un ventre materno, simbolo della genesi della vita, immagine di accoglienza e punto di incontro per i devoti, convinto si trattasse di «un gesto artistico capace di creare uno shock emotivo tra il pubblico». Così chiaramente non fu, a riprova di ciò il titolo stesso che l’artista ha deciso di attribuire all’aneddoto in questione, che ricevette come risposta, da parte della rappresentante della manifestazione selezionatrice per l’Italia, Claude Longò: «Idea stupenda, peccato non poterla portare a Grenoble; mi dispiace! Infrange schemi e modelli della tradizione cattolica».
Si susseguono ancora racconti che Buttazzo dedica alla celebrazione di personaggi a lui cari; tra gli altri ricordiamo Don Tonino Bello, mentore e consigliere dell’artista, che lo spronò nell’arduo compito della realizzazione dell’Ultima cena di Tricase, dandogli una pacca sulla spalla e, ancora, l’amico poeta Josè Greco, che Buttazzo ricorda nell’estratto Spontanee espressioni, citandone i suoi stessi versi, durante un intimo incontro col nipotino Gabriele.
Il libro scritto da Roberto Buttazzo si presenta come un diario personale, un taccuino di ricordi della vita che il tempo non potrà scolorire, che rimarranno vividi tra un disegno ed una nota di inchiostro, testimonianza di una lunga esperienza artistica, destinata sì a continuare, ma al contempo a non essere vittima nell’oblio della memoria.
Martina Raho
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Foto in alto: R. Buttazzo, Alchimia del pittore – 2008, Olio su tela, cm 70×50 (particolare)
R. Buttazzo, Saturnino Primavera – s.d., pastello acquerellato
R. Buttazzo, Edoardo de Candia – anni ’60, inchiostro e pastelli su cartoncino
R. Buttazzo, Don Tonino Bello – s.d., pastelli su carta