L’artista salentina: “I fondi perlescenti mi hanno permesso di lavorare più facilmente sulla scomposizione”
Alessandra Abbruzzese, artista salentina classe 1973 oggi residente a Sandonaci, da oltre vent’anni svolge la sua attività in ambito nazionale ed internazionale. Nel 1999 inizia la sua carriera come artista; dopo aver intrapreso il suo percorso di studi presso la facoltà di Architettura a Firenze, ritorna in Puglia e si laurea in Comunicazione Linguistica Interculturale all’Università del Salento e nel 2019 svolge un Master in Interior Design all’Università di Firenze. L’artista racconta, aprendo le porte del suo studio, il suo percorso artistico partendo dagli esordi. Un viaggio che inizia all’età di cinque anni, con un dolce aneddoto sulla sua prima “opera”, sino ad arrivare ai progetti futuri, ancora in fieri.
Io e te ci siamo già incontrate presso il laboratorio TASC del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, anche se brevemente, parlando ed esplorando la tua attività artistica. Ora, qui nel tuo studio, sono curiosa, innanzitutto, di conoscere i tuoi primi passi all’interno del mondo dell’arte. Come hai cominciato? Qual è stato il tuo esordio?
Da piccola dipingevo sempre e all’età di cinque anni vinsi un premio. Ho frequentato le elementari a Mantova e, dopo aver visitato una mostra, con la mia classe, ci fecero fare dei lavori che esprimessero quello che avevamo appena visto. Ricordo che feci un collage, qualcosa di pasticciato, insomma, e vinsi il primo premio. Questo è proprio l’esordio. In realtà ho sempre dipinto e disegnato in modo autonomo, ma il tutto è esploso quando ho cominciato a studiare Architettura. Ogni qual volta terminavo i miei esami tornavo sempre a dipingere, quindi, ho lasciato Architettura per continuare questa strada. Poi l’ho ripresa più tardi studiando Interior Design.
C’è stato un momento in cui hai pensato di voler fare questo lavoro nella vita?
Sì, quando ho lasciato Architettura. Ho cominciato subito ad esporre alla rassegna Artissima di Torino.
Quindi nel 1999…
Ho iniziato in modo piuttosto energico. È arrivata poi una fase di crisi creativa, da cui sono però nate anche altre forme visive. Sono passata dal figurativo alla scomposizione di esso, che era inizialmente una razionalizzazione dell’immagine fino a qualcosa di molto più astratto, anche se la dimensione di sospensione, simbolica l’ho sempre, anzi credo di averla sempre mantenuta. Di recente, sono arrivata a confrontarmi con il design che nella vita quotidiana ha avuto un’esplosione generale, quindi, ho scelto di fare anche art – design cercando comunque di mantenermi nell’ambito della ricerca artistica vera e propria.
Quali sono i ricordi che conservi delle prime esposizioni che consideri tra le più importanti della tua carriera?
La prima importante è stata nel 1999, Porta D’Oriente, a Bisceglie curata da Gianni Romano, in concomitanza con una mostra con fotografie di Mario Schifano e subito dopo Artissima a Torino, presentata dalla “Galleria Studio Legale” che ha curato la mia prima mostra personale del 2000.
Agli inizi del nuovo millennio si è consolidata la tua produzione artistica come la conosciamo oggi.
Dal 2002 ho adottato la mia linea attuale. È una evoluzione del figurativo perché, quando ho cominciato facevo un lavoro molto più istintivo, d’impatto visivo forte. Sentivo che dovevo cercare qualcosa e il figurativo mi ha portata alla scomposizione e i fondi perlescenti, a cui sono approdata per caso, mi hanno permesso di lavorare più facilmente sulla scomposizione.
Perlescenti, quindi un effetto visivo che si produce quando la luce colpisce la superficie facendo diventare i suoi riflessi perlacei…
Ne ho realizzati alcuni sulla scomposizione dell’immagine però con fondi ad olio piuttosto intensi.
Hai lavorato per progetti sul territorio anche su scala nazionale e internazionale. Hai notato differenze tra l’ambiente salentino e l’ambiente sovraregionale per un’artista donna?
Come artista donna, in generale, non ho sentito granché di differenza. Quello che ho sempre sentito è che una donna deve essere forte di quello che è in quanto artista; in realtà mi sono sempre apprezzata, forse proprio perché donna. Rispetto all’ambiente salentino ho sentito moltissima differenza; ho frequentato il panorama nazionale e internazionale e negli ultimi anni noto che ci sono dei piccoli cambiamenti. Ci sono realtà che vengono qui per esprimere il proprio potenziale sfruttando le risorse salentine, ma è comunque qualcosa di molto molto recente.
E nel confronto tra periferia e centri nel sistema dell’arte?
In passato ho fatto delle esperienze umili in ambito salentino, ma abbastanza all’avanguardia. Come tessuto di gallerie, dal punto di vista artistico – culturale non c’è paragone con quello di Milano. Alla fine, il mondo dell’arte è un mondo fluido, che puoi trovare ovunque.
Se ci si deve soffermare sull’ambito locale si, anche perché nel mondo di oggi non ha molto senso confinarsi in una provincia, anche se ci si vive. Il territorio deve essere incluso certo, ma ha più senso confrontarsi con qualsiasi ambito possibile esistente.
Il momento di svolta lo identifichi con un’opera precisa: 8 chilometri a piedi del 2004.
Dal figurativo al lavoro che faccio oggi sono passata attraverso questo lavoro di razionalizzazione, che ancora persiste. Questo è il momento di svolta, è stato il lavoro di scomposizione dell’immagine decisivo, con la trasposizione della pietra leccese. Sono andata a Santa Maria di Leuca e sono rimasta a piedi; ho camminato per 8 km e nel mentre vedevo questa pietra che pulsava, con i bianchi che venivano fuori dal disegno della roccia. Questa rielaborazione ha portato ad una tela lunga ben due metri, con fondo perlescente di bianco sporco.
Quali sono i motivi che maggiormente ispirano la tua vena ideativa?
L’ambito della natura e del paesaggio astratto, ma ultimamente anche dettagli naturali, come pezzi di fiori che cerco di rielaborare. Questi dettagli sono sempre sottoposti a due forze: una empirica, molto istintiva e l’altra razionale, analitica. C’è sempre un impeto fisico, il desiderio di un colore o una colata di questo su cui poi lavoro, lavoro fino ad arrivare ad una sintesi finale.
Data la tecnica che utilizzi, come gestisci il colore?
Come una scultura bidimensionale. Utilizzando questi materiali riesco ad avere effetti quasi di sovrapposizione anche se non è così. Sono delle nuance che si creano all’interno del materiale stesso. Dopo tutto questo tempo riesco anche a controllarle, anche se a volte mi piace lasciarmi sorprendere, ogni giorno spero di essere sorpresa da qualcosa.
Prediligi una gamma cromatica più lucente?
Gli ultimi lavori sono sempre stati dei disegni a pastello o con i markets o altre tecniche su fondo perlescente, che ricordi la seta, dei ricami. Partono da una base istintiva cromatica forte e poi diventano completamente bianchi ed evanescenti, però ho sempre bisogno di accenti e di dare una forma sintetica alle cose che faccio.
Si direbbe una esigenza creativa quella di lavorare sulle grandi dimensioni.
Sì. Sulle grandi dimensioni. Diciamo che lo spazio più grande su cui lavorare mi dà modo di dare una leggibilità più ampia, di lavorare sulla superficie e sulla percezione, perché è uno dei tratti fondamentali sui cui lavoro utilizzando tutte queste istanze. Utilizzo molto anche la tecnologia, con i riferimenti alla grafica. Mi sembrerebbe impensabile diversamente; anche se ho fatto anche dei lavori piccoli, come delle diapositive piccolissime, e sono anche stati esposti.
In fase di lavoro pensi a quello che lo spettatore potrebbe osservare o preferisci che si faccia una propria idea?
Preferisco che si faccia una propria idea. Io cerco di lavorare su quella che è la mia percezione, poi lascio libertà a chi guarda di trovare una sua lettura, un suo vissuto meglio ancora. Se la persona che guarda percepisce un’emozione io mi ritengo soddisfatta.
Acqua 014 del 2014 è un paesaggio cangiante su superficie dal colore acqua che hai in vista nella tua casa, mentre un’altra soluzione è Bosco d’acqua del 2015, che srotoli sul pavimento dello studio per mostrarmelo.
Il mio studio è uno spazio sempre vivo, che cambia faccia ogni minuto.
Il colore di questi paesaggi è vivo, intenso.
Attraverso esso voglio restituire una sensazione.
In questo momento con la tua ricerca artistica dove ti collochi? Cosa stai sviluppando?
In questo momento cerco sempre una essenzialità, che sia anche delle forme, pur lavorando a volte su immagini anche complesse, dettagliate. Questa è la principale linea di ricerca. Devo ammettere che contemporaneamente continuo a ricercare anche in altre direzioni e questo fa parte del mio modo di fare arte, di lavorare e quindi, a volte, lavoro su delle immagini che potrebbero sembrare decorative, ma è una ricerca sulle forme. Comunque, cerco di non distinguere poi la sostanza, perché non avrebbe senso.
Lavori in cantiere?
Adesso sto preparando un progetto di Art Design e continuo a ricercare sulle mie forme e sui miei impeti artistici. Il bello è anche questo, avere la possibilità di fare evolvere il lavoro, di approcciarsi, ogni qual volta si fa una tappa diversa, in modo diverso.
Mostre in programma?
Mostre in preparazione, sì. Ma acqua in bocca per il momento.
Ci sono anche lavori recenti, come un iris su fondo oro che contrasta con il colore lilla realizzato proprio quest’anno, o ancora due pezzi figurativi facenti parte di un ciclo di ali di farfalla che non è ancora terminato…
Il ciclo è fatto utilizzando delle farfalle vere che riesco a recuperare in campagna, che incrocio sulla mia strada. Un figurativo che a volte ritorna, che ha un senso perché parto sempre da immagini e sensazioni di esse, quindi, è un lavoro di rielaborazione di qualcosa di reale, di figurativo che poi cerco di esprimere a modo mio.
Cristina Sergi
© Riproduzione riservata
Foto in alto: A. Abbruzzese, Bosco d’acqua, 2015, olio, acrilico e pastello su tela, 80×105
Lo studio dell’artista
Acqua 014, 2014, olio, acrilico e pastello su tela, 156×140. Dettaglio
8 chilometri a piedi, 2004, olio, acrilico e pastello su tela, 140x200cm. Dettaglio
Abbruzzese con un’opera del ciclo Ali di farfalla