Intervento di Antonia Sergio, docente presso la scuola dell’infanzia dell’Istituto comprensivo “Vittorio Bodini” di Monteroni di Lecce
I recenti fatti di cronaca e gli episodi di bullismo che si registrano quasi quotidianamente nella scuola e tra i ragazzi, hanno messo in luce l’esigenza di attuare nelle scuole un’educazione alla affettività che insegni a gestire le relazioni interpersonali e faccia sì che si svolgano in maniera “funzionale” e “sana”. Non sempre è chiaro che, prima di posare lo sguardo oltre, è necessaria una cura “interiore”.
Star bene con se stessi, conoscere le proprie emozioni e stati d’animo, saperli gestire e in qualche misura controllarli, aiuta anche a stabilire rapporti equilibrati che possono inibire comportamenti disfunzionali, figli spesso di una mancanza di equilibrio interiore.
Se la famiglia, come è ormai arcinoto, è la prima agenzia educativa, la scuola non deve dimenticare il suo ruolo di coprotagonista nella formazione della personalità dei bambini e bambine che le sono affidati.
Uno strumento per i docenti può venire, dopo un’adeguata preparazione, dalla “mindfulness” che può essere praticata fin dalla scuola dell’infanzia. I bambini, come ha insegnato Montessori, sono delle menti assorbenti e dispongono di tutti i mezzi per conoscere e padroneggiare tecniche di “mindfulness”, utili per la comprensione e la gestione di emozioni e stati d’animo che possono dare luogo e sfociare in azioni potenzialmente pericolose.
I bambini e i ragazzi devono essere abili nel percepire le proprie emozioni, comprendere, gestirle e utilizzarle in maniera costruttiva verso se stessi e verso gli altri e per questo devono essere allenati attraverso:
LA “PERCEZIONE EMOTIVA”. La capacità di identificare, dare un nome alle emozioni, notarle nel proprio corpo e identificare negli altri, attrezzare una parete con emotica che rimandano agli stati d’animo. Ogni giorno a scuola si chieda “Come stai? Come ti senti? Perché? Dove senti questa emozione? Ti batte forte il cuore? Ti fa male la pancia?
LA “COMPRENSIONE EMOTIVA”. La capacità di capire la funzionalità delle emozioni (far notare che l’ansia, ad esempio per un’interrogazione, può aiutare, se presente nella giusta misura, ad essere più reattivi); comprendere perché sono comparse, in quale situazione, quale utilità ci stanno offrendo.
LA “GESTIONE EMOTIVA”. La capacità di adattarsi alla situazione, essere in grado di regolare l’intensità delle emozioni, in un determinato contesto, rispetto a ciò che si sta provando (non parlare ad alta voce se non è opportuno, non mettersi a ridere se sono in una specifica situazione che affligge un’altra persona, ecc.).
L’uso in maniera costruttiva delle emozioni così come delineate negli step precedenti, assicura una buona abilità per interagire con gli altri e per conoscere meglio l’individuale mondo interiore. È evidente che per fare questo c’è bisogno di un allenamento giornaliero.
Un esercizio da fare in classe (tempo 3 minuti)
Assumete una postura eretta e dignitosa, sia che stiate in piedi sia che stiate seduti, se questo non è possibile perché siete in una situazione particolare, assumete questa postura con la mente. Se possibile chiudete gli occhi. Fate profondi respiri e concentratevi su di essi.
Portate la vostra consapevolezza al vostro stato interiore e chiedetevi: “Cosa sto sperimentando in questo momento? Quali pensieri stanno attraversando la mia mente in questo momento? Riconosceteli come eventi mentali e se possibile traducete in parole i pensieri che stanno attraversando la vostra mente in questo momento, quali sentimenti state provando, ascoltate ed osservate i sentimenti che in varia intensità e composizione si presentano alla vostra consapevolezza e se possibile etichettate ciascuno di loro con il proprio nome, senza dare giudizi di sorta.
Pensate: “Quali sentimenti sto provando, quali sensazioni fisiche sta percependo il mio corpo?”
Passate brevemente in rassegna le varie parti del vostro corpo e cercate di percepire le varie sensazioni fisiche avvertite e se possibile nominatele esplicitamente.
Dopo aver riconosciuto i pensieri come eventi mentali e avrete provato a tradurli in parole, dopo aver riconosciuto i sentimenti che state provando e cercato di etichettare ciascuno di loro con il proprio nome, dopo che avrete percepito quali sensazioni fisiche state sperimentando nel corpo e averle nominate esplicitamente, gentilmente portate la vostra attenzione al respiro nel punto del corpo in cui lo percepite meglio, che sia l’addome che si alza e si abbassa o il punto tra il labbro superiore e le narici dove si percepisce l’aria come più calda o più fresca e cercate di percepire il movimento e le sensazioni mentre queste avvengono; cercate di percepire il respiro sentendolo nel corpo, nel punto in cui avete scelto di osservarlo, addome o narici, non cercate di modificarlo né di controllarlo, lasciatelo fluire naturalmente e osservate mentre ispirate ed aspirate.
Appena vi siete stabilizzati in questa osservazione provate ad allargare la vostra consapevolezza dal solo respiro all’intero corpo che respira nel suo insieme, alla vostra postura, allo stato dei muscoli facciali, se diventate consapevoli di particolari stati di disagio nel vostro corpo, a qualche muscolo che si trova in tensione o a qualche situazione dolorosa o fastidiosa, provate a respirarci dentro dicendovi: “Ok”, “Lasciar andare”, “Non trattenere”.
Man mano che percepite un allentamento dello stato di tensione o di disagio spostatevi su un punto differente e ripetete il passaggio precedente fino a quando non decidete di terminare e tornare alla vostra attività.
Questo esercizio è adatto ai più grandicelli ma può essere adottato con risultati sorprendenti anche per i bambini più piccoli con i quali si faranno esercizi di respiro consapevole: “Il respiro mi respira”, “Il respiro mi calma”, andando a respirare nelle varie parti del corpo per raggiungere uno stato di consapevolezza e calma.
Si noterà che gli esercizi di respirazione consapevole agevoleranno uno stato di calma diffuso che i bambini vorranno mantenere e ciò li porterà, come primo effetto, a parlare con un tono di voce più basso, per non interrompere la “magia”.
Antonia Sergio
© Riproduzione riservata
* * *
Mindfulness: contro il “logorio della vita moderna”
Il concetto di Mindfulness ha origini antichissime e affonda le sue radici nelle tradizioni contemplative buddiste. Il termine traduce la parola “Sati” della lingua Pali e fa riferimento ad uno stato caratterizzato da “presenza mentale” in cui tutti i fenomeni sono visti nella loro realtà senza distorsioni mentali.
Lo sviluppo della Sati porta ad un aumento della consapevolezza delle proprie emozioni, pensieri, parole e delle conseguenze che possono avere su di sé e sugli altri e quindi a ridurre o eliminare la sofferenza legata ad una scorretta comprensione della realtà.
Il fondatore dell’uso clinico moderno della Mindfulness è John Kabat Zinn[1], il quale affermava che vivere in maniera mindfulness vuol dire vivere l’esperienza del momento presente prestandole attenzione senza giudicarla, accettandola in maniera gentile, amorevole, compassionevole.
La piena consapevolezza permette quindi di stare nel momento presente; raggiungendo questo stato si ottengono notevoli benefici sul benessere psicofisico.
Appare evidente, quindi, l’importanza di lavorare sulla consapevolezza già a partire dalla Scuola dell’Infanzia e allenare questa pratica durante tutto il corso della vita. Mindfulness aiuta a localizzare le emozioni come rabbia, paura, gioia, nel proprio corpo prestando attenzione, rimanendo nel momento presente, nel qui ed ora, e a saperle gestire, avendo padronanza su di esse.
Ciascuno di noi è consapevole della distanza che esiste tra ciò che ci prefiggiamo e ciò che la società odierna ci richiede per raggiungere tali traguardi, in termini di sforzo fisico e mentale. Viviamo in un mondo che ci impone ritmi sempre più frenetici.
“Velocità” e “Stare sul pezzo”, sono le parole d’ordine dei nostri giorni. Tutto perfetto: massima resa con il minimo sforzo, ma a quale costo? Il costo è quello di vivere in perenne affanno, di cominciare il lunedì sperando arrivi presto il venerdì.
Ci proiettiamo in avanti per sfuggire allo shock delle richieste sempre più pressanti della vita quotidiana e quello che è più grave è che la scuola non è da meno riguardo all’ansia e allo stress che trasmette agli studenti.
Pensate ad un ragazzino/a di secondo liceo che abita in una città come Milano, che esce da casa alle 7 per recarsi a scuola, saltando da un “mezzo” all’altro, per fare rientro alle 14.45, quando la condizione è fortunata, e che nel pomeriggio deve gestire per il giorno seguente verifiche ed interrogazioni e così per tutta la settimana.
Dobbiamo essere individui “multitasking”, questa è la condizione che ci impone la quotidianità.
Tutto questo porta a vivere in affanno, e a vivere una condizione di malessere; è vitale quindi rallentare vivere per passare da uno stato di Mindufull (mente piena) ad uno stato di Mindful (stato di piena consapevolezza).
Generalmente il nostro stato è quello di una mente piena, intrappolata da pensieri che riguardano il lavoro, le preoccupazioni di ogni giorno, la famiglia che progressivamente catturano la nostra attenzione.
Pensate ad una passeggiata in un parco con il vostro amico a quattro zampe: spesso avviene in maniera automatica, mentre i pensieri sono i vostri compagni, in una sorta di “inconsapevolezza cronica”.
Provate a fare la stessa passeggiata rimanendo totalmente presenti nell’esperienza, portando la vostra attenzione a tutto ciò che incontrate durante la vostra passeggiata, che diventa a questo punto interessante e gradevole perché avrete notato il paesaggio, i profumi, la temperatura, avrete stabilito una connessione con il vostro peloso: avrete praticato Mindfulness perché avrete vissuto uno stato di consapevolezza.
Sfatando alcune credenze, bisogna mettere in evidenza che Mindfulness non è pratica spirituale ma un modo per conoscere meglio il mondo interiore, valutando le risposte che diamo alle molteplici richieste della quotidianità e della vita.
Mindfulness non è una mente in bianco senza pensieri, perché è impossibile avere una mente senza pensieri dato che per natura siamo esseri che pensano di continuo, ma capacità di indirizzarli ed avere il controllo su di essi.
I benefici della Mindfulness si traducono in allentamento delle caratteristiche di una Mind full che porta: a tensioni fisiche (dolori e contratture) ed emotive (somatizzazione emotiva come ansia e stress); comportamenti impulsivi e cattive abitudini; eccessivo bisogno di controllo; incapacità di divertirsi, godere del momento presente.
Abbiamo tutti i mezzi per avvicinarci a questa pratica e considerando che uno degli strumenti più utilizzati dalla Minfulness è il corpo che è sempre accessibile, disponibile, perché è sempre con noi, esso è il nostro mezzo migliore per collegarci al presente. Per citare un termine, usato nel buddismo, è il nostro “veicolo” nel viaggio della vita[2]. (Antonia Sergio)
In foto: un esercizio di mindfulness con bambini della scuola dell’infanzia
[1] John Kabat Zinn, medico statunitense ideatore del Programma Mindufulness Based Stress Reduction (MBSR), messo a punto alla fine degli anni ’70 presso l’Università del Massachussets.
[2] Gherardo Amidei, Mindfulness. Essere consapevoli, Il Mulino, Bologna, 2013.