Focus sulla “bilancia commerciale” leccese: esportazioni ed importazioni
Il conflitto ucraino sta affossando gli scambi commerciali, dopo un anno da record. Il 2021 ha rappresentato, infatti, un periodo di forte ripresa per le esportazioni made in Salento, ma anche per le importazioni destinate alle aziende e ai consumatori leccesi. È quanto emerge dal nuovo studio condotto dall’Osservatorio Economico Aforisma, diretto da Davide Stasi (in foto), che ha analizzato l’andamento della bilancia commerciale nel lungo termine, vale a dire il trend degli ultimi trent’anni, a partire dal 1991 ad oggi.
Dai 296 milioni di euro di valore complessivo dell’export raggiunto nel lontano 1991 si è arrivati ai 717.389.017 euro di oggi. Il valore più alto, però, è stato raggiunto nel 2001 con oltre 885 milioni di euro di prodotti made in Salento esportati in tutto il mondo, mentre il valore più basso è stato toccato nel 2009, quando l’export si fermò ad appena 318 milioni di euro. Quest’ultimo anno fu fortemente segnato dal crollo delle vendite per gli effetti devastanti della recessione globale; l’anno dopo l’export raggiunse i 352 milioni di euro, ben al di sotto comunque rispetto a due anni prima, quando l’export ne «valeva» più di 577. Altri tempi, si dirà. Tornando ad oggi, la tanto auspicata ripresa del 2021 dovrebbe arrestarsi, a causa delle gravi ricadute negative sulla finanza e sull’economia reale innescate dal conflitto ucraino.
«Le esportazioni – spiega Stasi – rappresentano un importante indicatore utile per comprendere lo stato di salute della produzione interna e del commercio mondiale. Attraverso l’andamento dell’export, infatti, si può monitorare la competitività delle aziende della provincia di Lecce e la loro capacità di raggiungere gli altri Paesi che possono rivelarsi strategici per lo sviluppo del territorio. I prodotti made in Salento più richiesti all’estero risultano i macchinari e le apparecchiature (export per 346.415.968 euro nel 2021); gli articoli in pelle (105.174.247 euro); prodotti in metallo (50.729.669 euro); gli articoli di abbigliamento (29.129.170 euro); le bevande (27.601.612 euro); i prodotti agricoli (24.253.310 euro), a cui si aggiungono quelli alimentari (20.337.618 euro) e, a seguire, gli altri beni e prodotti, con quote di mercato decrescenti».
«Negli ultimi anni – ricorda – c’è stata una grande richiesta di prodotti agroalimentari, oltre ai macchinari che continuano a rappresentare la quota di mercato preponderante. Molto apprezzati all’estero sono il “wine & food” che ha trainato al rialzo il giro d’affari dell’industria agroalimentare. Le migliori performance sono state messe a segno dal comparto del vino. Ma buoni risultati sono stati anche quelli messi a segno dal settore dolciario e lattiero-caseario. In crescita anche il comparto della trasformazione degli ortaggi».
«Più in generale, a livello nazionale – aggiunge – nell’ultimo decennio, risulta chiaro che l’export sia cresciuto costantemente, con la sola eccezione del 2020, anno in cui si è registrato un calo dell’interscambio commerciale internazionale dovuto alla pandemia innescata dal Covid-19. L’interscambio italiano è cresciuto dai 777 miliardi del 2011 ai 982 miliardi del 2021. Nello stesso arco temporale, l’export è salito da 376 miliardi a 516. L’import, invece, è stato un po’ altalenante ed è passato da 401 miliardi a 466. Il saldo commerciale, negativo solo nel 2011, è sempre risultato positivo dal 2012 ad oggi, con una media di circa 42 miliardi annui. Ciò implica che il valore delle esportazioni, dal 2012 al 2021, è risultato sempre maggiore di quello delle importazioni. Si può dunque sostenere che, nell’ultimo decennio, l’export è stato un importante traino per il Prodotto interno lordo (Pil) italiano».
«In contabilità nazionale – sottolinea Stasi – uno degli indicatori più importanti è proprio quello della bilancia commerciale. Il saldo corrispondente alla differenza tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni. Tale valore rappresenta il grado di attrattività delle merci prodotte e vendute ai Paesi esteri. Nel corso del decennio 2010-2020, abbiamo vissuto anni sospesi tra la recessione e la “crescita dello zero virgola”. Sebbene, con il passare del tempo, siano aumentate le imprese e siano stati recuperati tanti posti di lavoro, solo le esportazioni hanno davvero trainato il Paese, grazie alla spinta del made in Italy».
Comunicato
Leggi anche: