Quattro appuntamenti, ogni sera fino al 3 settembre, nel chiostro dell’ex Convento dei Teatini. Si inizia oggi 31 agosto, alle ore 20, col film “Eden Abbandonato”
Il Festival del cinema albanese, “Albania, si gira”, organizzato sin dal 2019 a Roma, approda a Lecce. Con quattro pellicole in quattro giorni, per aprire una riflessione sugli eventi principali che hanno caratterizzato la storia contemporanea del Paese delle Aquile e le sue relazioni con l’Italia.
La scelta del capoluogo salentino non è casuale: la Puglia ed il Salento in particolare, hanno accolto, negli Anni Novanta, migliaia di albanesi in fuga dal loro Paese, e la Puglia e la penisola salentina erano e sono gli approdi geograficamente più vicini. D’altra parte, è noto a tutti i pugliesi – e non solo – che spesso le coste del piccolo Paese dei Balcani sono visibili ad occhio nudo, ed altrettanto avviene per chi, dall’altra sponda, volge lo sguardo alle adriatiche.
Le proiezioni, da questa sera, martedì 31 agosto, sino a venerdì 3 settembre, si terranno nel chiostro dell’ex Convento dei Teatini, in Corso Vittorio Emanuele a Lecce, grazie alla collaborazione ricevuta dai promotori dell’evento, l’Amministrazione comunale e l’associazione culturale “CulturalPro”, da DB d’Essai, il cinema della parrocchia di Don Bosco. L’ingresso è gratuito, ma con prenotazione obbligatoria su Eventbrite o www.dbdessai.it ed esibizione del green pass.
1. Si comincia, dunque, stasera con inizio alle ore 20, col film drammatico del 2002, “Eden Abbandonato” (durata 20’, in lingua originale con sottotitoli, produzione Albania), del regista Eno Milkani.
LA TRAMA: l’emigrazione che ha riguardato l’Albania negli anni di transizione tra il regime comunista e il sistema democratico, ha lasciato tracce indelebili nella società, e in particolar modo in alcune aree rurali che sono state abbandonate in massa dai giovani. Girato all’inizio degli Anni Duemila, il cortometraggio rappresenta una delle prime riflessioni sulle conseguenze della migrazione negli ambienti non urbanizzati. Il regista ha ripreso la ritualità di un contesto sociale anticamente sedimentato, che è sopravvissuto alle varie vicissitudini politiche del XX secolo. L’autore mostra che vi è uno stato di non-transitorietà in alcune parti della società albanese, le quali tuttavia non hanno modo o motivo di esistere, se manca loro la possibilità di ricostituirsi per mezzo del ricambio generazionale.
2. Domani, 1 settembre, inizio alle ore 19, sarà la volta di un altro film drammatico, “Notte senza Luna” (anno 2004, durata 80’, in lingua albanese con sottotitoli, produzione Albania), del regista Artan Minaroli.
LA TRAMA: l’opera affronta la questione della violenza di regime e i suoi effetti nel periodo di transizione. Durante il comunismo, l’efferatezza delle istituzioni era giustificata dall’ideologia, ma in verità era anche l’espressione di un sadismo sfrenato radicato nella struttura patriarcale della società. Nel periodo di transizione, tale violenza trovò sfogo in modo spesso indiscriminato ed era veicolata dai traumi, dalla povertà e dalle armi che il regime lasciò in eredità agli albanesi. Il lavoro di Minaroli è significativo anche per le trasformazioni stilistiche del cinema albanese. L’utilizzo di una colonna sonora “etnica” senza una vera e propria collocazione spazio-temporale, la predilezione degli ambienti rurali, la sovente folklorizzazione delle relazioni sociali e la rappresentazione ironica della violenza, collocano questo film in uno stile “balxploitation” che fiorì tra gli Anni Novanta e Duemila. È bene tuttavia notare che, a differenza dello sguardo di altri registi, quest’opera non offre facili vie d’uscita ai personaggi. Ogni Stato deve fare i conti con il patriarcato, le dittature e le ingiustizie del passato e del presente. Fuggendo in altri Paesi, gli albanesi diventano oggetto di sfruttamento, di emarginazione e di violenza da parte delle istituzioni e dei singoli. Il finale incerto sembra indicare l’impossibilità della fuga, che non consiste nel sottrarsi a un territorio, ma nella utopistica ambizione di raggiungere un altrove.
3. “Neverland”, in programma il 2 settembre, sempre alle ore 19, è invece il titolo della terza proiezione drammatico-documentaristica (anno 2019, durata un’ora e 20’, in lingua originale con sottotitoli, produzione Italia), del regista Erald Dika.
LA TRAMA: all’inizio del 1997, in Albania, una crisi politica ed economica causata da una gigantesca truffa finanziaria, generò una serie di rivolte diffuse, che portarono al collasso tutte le istituzioni adibite alla protezione dei cittadini, come la polizia e l’esercito. In circostanze poco chiare, la popolazione si precipitò nei depositi di munizioni e rubò le armi dello Stato. Neverland, girato dal giovane regista italo-albanese Erald Dika, è il primo trattamento cinematografico di questi assurdi eventi che ancora pesano sulla memoria collettiva. L’opera ricerca il senso della violenza che caratterizzò la primavera albanese del 1997. La linea narrativa è basata su interviste raccolte da testimoni oculari e immagini d’archivio, che sono sovrapposte a un racconto ambientato in quel periodo. Il regista mostra lo sgomento, la paura e la folle euforia delle persone di fronte a un’esperienza del tutto inedita. Gli spari con i kalashnikov verso il cielo, sono tra le immagini più tristemente famose della transizione albanese, e sono il segno di una rivolta metafisica e della perdita di punti di riferimento politici e sociali. Gli unici capaci di dare una direzione alle proprie ambizioni, furono le bande criminali, che presero il controllo della situazione e che, come dice uno degli intervistati, normalizzarono l’anormalità. Si trattò di una normalità perversa, che per fortuna durò poco, ma i cui effetti sono ben visibili nella struttura dello Stato albanese.
4. Ultima pellicola, anch’essa drammatica, venerdì 3 settembre alle ore 19, “Open Door” (anno 2019, durata un’ora e 18’, in lingua originale con sottotitoli, produzione Italia), del regista Florenc Papas.
TRAMA: prodotto nel 2019, il film è ambientato dell’Albania attuale, un Paese uscito dalla transizione con tante contraddizioni. Tra queste l’emigrazione, che è diventata un’istituzione fissa per il mantenimento di molte famiglie. Il film racconta una storia di ritorni, in cui i personaggi non sentono alcun attaccamento al Paese dove sono migrati. La disaffezione per “l’estero” è accentuata anche dalla scelta della colonna sonora che rivela le tendenze nostalgiche di una parte della società albanese. La storia si sofferma sulla difficile posizione delle donne in Albania, le quali devono misurarsi sia con il patriarcato tradizionale, sia con lo sfruttamento capitalista che si è instaurato dopo la fine del regime comunista. Florenc Papas, regista albanese di nuova generazione, narra le vicende di due sorelle attraverso la prospettiva della maggiore, Rudina. In tal modo, si trasmette efficacemente il senso di ingiustizia, bigottismo e minacciosità, che il personaggio principale percepisce quando si relaziona agli uomini. La sua vita sembra costantemente sottoposta al loro controllo. Uomini sono il padre e il marito cui deve dare conto, così come lo è in prospettiva il figlio, che è a tratti irrispettoso della madre; uomo è il medico che visita la sorella, come lo è il capo antipatico, e persino il poliziotto che le fa la multa. I personaggi femminili subiscono una persecuzione costante dalla quale sembrano non poter uscire. I rapporti di forza sono smussati dall’evocazione della madre, che riesce, malgrado l’assenza, a cambiare un finale già scritto.
Toti Bellone
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Foto in alto: ingresso dell’ex Convento dei Teatini
Il palco allestito nel Chiostro
Locandina evento