Lo scultore surbino è il protagonista del secondo appuntamento del ciclo di interviste avviato la scorsa settimana
È ormai passato un anno dall’inizio della pandemia e la vita di tutti è profondamente mutata: i tempi e gli spazi quotidiani si sono modificati, con uno spostamento di gran parte delle nostre attività nella dimensione digitale. Gli spostamenti sono bloccati, in una condizione di isolamento e contestuale iperconnessione, l’arte è fruibile solo attraverso gli schermi dei nostri computer.
Per chi lavora con la materialità, abituato alla manualità e in relazione con gli altri, questo cambiamento ha inciso in qualche modo? Un affacciarsi virtuale negli studi degli artisti operanti nel territorio salentino per conoscere le loro sensazioni e i progetti in corso.
Il secondo appuntamento previsto dal ciclo di interviste ad artisti salentini, vede protagonista Salvatore Sava, nato a Surbo nel 1966. Il suo percorso artistico comincia all’inizio degli anni Ottanta con una produzione di pitture e sculture, come attesta la prima esposizione personale del 1983.
La mostra antologica del 1993 segna un momento di svolta nelle sue attività: Sava intraprende una linea di ricerca orientata alla natura e al rapporto dell’uomo con l’ambiente, a cui tuttora dedica la sua attenzione. Lo scultore realizza opere plastiche ricorrendo a materiali poveri e quotidiani, spesso provenienti dal nostro territorio.
Nato e vissuto a stretto contatto con la terra, in una famiglia di origini contadine di cui va orgoglioso, intorno ai vent’anni incontra l’arte e unisce i suoi due mondi; dal 1990 comincia ad insegnare all’Accademia delle Belle Arti di Lecce, dove ancora oggi ha la cattedra di anatomia artistica. Cosa significa per lei essere un artista del Sud Italia in rapporto ad un mondo globalizzato?
Se dopo quasi quarant’anni di lavoro in un piccolo comune del Salento, Surbo, qualcuno ti chiama ancora “artista”, ciò significa che hai raggiunto un buon traguardo ed è motivo di orgoglio. Infatti non è facile resistere a lungo, continuare ad operare in un territorio così lontano dai sistemi che contano veramente. Bisogna ammettere però, che l’artista del sud ha la possibilità di assaporare la vita con altri ritmi, che sono ben distanti da quelli delle grandi metropoli. Oggi la globalizzazione, che anche qui ha lasciato le sue “tracce indelebili”, ci fa sentire al centro del mondo. Le distanze si annullano e anche ciò che accade in un piccolo paesino sperduto, fa parlare di sé al pari del grande evento organizzato a Milano, a Londra, a Parigi o a New York. Mi viene in mente l’eccellente realtà artistica creata a Castronuovo di Sant’Andrea in Basilicata, dallo storico dell’arte Giuseppe Appella.
Il legame con la terra, l’ambiente e l’ecologia sono sempre stati temi fondamentali per il suo lavoro. In diverse opere torna la denuncia contro l’inquinamento e la deturpazione della natura resa attraverso l’utilizzo del colore giallo, che crea un effetto innaturale. Cito tra queste Salento 2014, un’installazione ambientale di numerose lastre di pietra leccese macchiate da strisce di colore nero e disposte in modo da richiamare un impianto fotovoltaico, tra cui sopravvive un albero, dipinto di giallo. La sua ricerca nel tempo come si è sviluppata?
Le mie prime opere erano pitture di paesaggi coloratissimi con aquiloni che tagliavano l’azzurro del cielo, dalla pittura sono via via passato a forme tridimensionali colorate ovvero grandi gabbiani in legno che sfioravano il mare di Gallipoli, era il 1989. Ho affrontato in seguito delle storie personali con pitture tridimensionali e sculture e infine mi sono interessato di temi ecologici con pitture e sculture nere, ma anche installazioni. Il giallo fluorescente è arrivato per ultimo ed è stato anche il tema della mostra presso la Galleria San Carlo di Milano, poco prima della pandemia.
Come è mutato, se è mutato, il suo rapporto con la terra e come ha inciso sul suo lavoro la pandemia?
La terra non la coltivo più come una volta, gli impegni non me lo permettono, ma continuo a volerle bene anche più di prima. Essa è stata ed è la mia principale fonte d’ispirazione. Negli ultimi anni ho trasferito il mio laboratorio di scultura tra i millenari ulivi e con innesti d’artista ho cercato di salvarne quanti più possibile dalla Xylella. È un dolore attraversare le campagne popolate da scheletri che domani si trasformeranno in cenere. Mi sento impotente davanti a un territorio ora abbandonato a se stesso che è diventato un ricettacolo di rifiuti di ogni genere, scempi legalizzati a parte. Avevamo visto bene anni fa! Purtroppo la terra non è più quella di un tempo e il peggio non è ancora arrivato… Peccato, ci stiamo distruggendo il futuro!
La pandemia, a parte alcune buone partecipazioni on line, non ha influito sul mio lavoro, ho continuato regolarmente a portare avanti quanto avevo già intrapreso.
È stata da poco inaugurata a Lecce la Fondazione Biscozzi | Rimbaud, che propone al pubblico un’ampia collezione d’arte contemporanea. Nell’esposizione sono presenti due sue opere, Sentieri interrotti (1998) e Rosa Selvatica (1999). Come vede il progetto?
La Fondazione Biscozzi | Rimbaud, realtà di altissimo livello diretta dallo storico dell’arte Paolo Bolpagni, rappresenta una vera ricchezza, uno stimolo, un grande esempio per il territorio tutto, questo progetto (che tutti noi abbiamo il dovere di valorizzare facendolo conoscere soprattutto alle nuove generazioni) mi ricorda quello dell’amico Appella col MIG di Castronuovo, ovvero la restituzione al paese d’origine delle proprie conquiste.
Di prossima riapertura è anche il Museo Storico della Città di Lecce, conosciuto come MUST, con un nuovo allestimento, che vede accanto a opere dall’Otto al Novecento anche produzioni di stretta contemporaneità. Sta lavorando ad un’opera da esporvi, può darci qualche anticipazione a riguardo?
Per la verità nel MUST ero già presente sin dalla sua nascita con una grande scultura dal titolo “Mutazioni barocche” che però a causa delle dimensioni, non ha trovato spazio nel nuovo allestimento. Motivo per cui, in sostituzione, da alcuni giorni sono al lavoro su una nuova struttura di dimensioni più contenute che sarà pronta per la riapertura del prestigioso Museo Storico. L’opera dal titolo “Xalento 2021”, in ferro, acciaio inox, pietra e smalto, è la testimonianza del periodo difficile che a livello mondiale, causa Covid, stiamo attraversando, ma anche la fotografia di un malinconico paesaggio salentino, modellato dalla Xylella, tramite la globalizzazione, rappresentato da un artista del “Sud Italia”.
Negli ultimi mesi ha lavorato a qualche progetto in particolare?
Sì, ho realizzato il luogo in cui nascerà a breve la nuova produzione.
Rosanna Carrieri
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Nella foto in alto: Salvatore Sava, Rosa Selvatica, 1999, ferro su pietra leccese, 93x94x62, nello studio dell’artista, oggi esposta presso la Fondazione Biscozzi | Rimbaud, Lecce
S. Sava, Sentieri interrotti, 1998, ferro su pietra leccese, 60x60x31, Fondazione Biscozzi | Rimbaud, Lecce
S. Sava, Salento 2014, installazione nella mostra “Follie barocche”, Monastero Olivetani, Unisalento, Lecce
Un ulivo millenario che Sava, tramite gli innesti, sta cercando di salvare dalla Xylella
Salvatore Sava