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Storia locale - 28 Gen 2021

Geronimo Marciano junior, sacerdote, poeta dialettale e…

Due sonetti inediti del singolare personaggio conosciuto come Lu Mommu de Salice. Il 4 maggio 1710 fu protagonista di uno scandalo


Spazio Aperto Salento

Geronimo Marciano, sacerdote di Salice, conosciuto come Lu Mommu de Salice, “Il Geronimo di Salice Salentino”, deve la sua notorietà, anche se sminuita dal suo paesano Giuseppe Leopoldo Quarta (1), al poemetto “Viaggio de Leuche”, ritenuto il più antico testo poetico dialettale salentino.

Scritto tra la fine del 1600 e i primi anni del 1700, il poemetto è la  narrazione pittoresca in ottave di un viaggio di devozione da Salice al Santuario di Santa Maria di Leuca compiuto da Lu Mommu de Salice e da altri tre sacerdoti suoi amici; una copia del poemetto venne rinvenuto fra le carte di Giuseppe Pacelli, grosso erudito manduriano, da Michele Greco, direttore della biblioteca civica “Marco Gatti” di Manduria in un manoscritto miscellaneo settecentesco di varie mani, e lo fece subito conoscere (M. GRECO, Lu “Mommu de Salice” e il suo “Viaggio de Leuche” a lengua noscia de Rusce, in “Rinascenza salentina”, III, dic.1935, nn. 5-6, pp. 253-266).

A margine della copia esistente nella biblioteca di Manduria è annotato che il Viaggio è stato “rinuatu mpiersu li Scegnu di Casaleneu”, cioè “rinnovato” (rielaborato, ritoccato), presso il cosiddetto “Fonte Pliniano” (Scegnu) (2) di Manduria; questa rivisitazione è stata fatta dallo stesso Marciano, tra il 1711 e il 1714, periodo durante il quale si trovava esiliato nel convento dei Cappuccini di Manduria situato nelle vicinanze del Fonte Pliniano.

Tuttavia l’oggetto di questa ricerca non è l’opera del Marciano bensì lo stesso Marciano, personaggio del quale finora si conosceva molto poco della sua vita e quel poco che si conosceva spesso era contraddittorio stante l’assoluta mancanza di documenti cui poter fare riferimento; l’aver rinvenuto nell’archivio storico diocesano della biblioteca arcivescovile “A. De Leo” di Brindisi, alcuni documenti che lo riguardano, ci consente di conoscere più da vicino questo personaggio eccentrico, nipote del più famoso Geronimo Marciano, medico e filosofo leveranese, dal quale aveva ereditato la vocazione letteraria.

Geronimo Marciano, figlio dell’AMD Luca Giovanni Marciano (Copertino 1588, Leverano 1656) e della nobildonna Isabella Mavaro (Salice ?, ivi 1677), nasce intorno al 1647 (3) a Maruggio dove il padre, medico, si era trasferito sin dal 1613 in occasione del primo matrimonio contratto con Livia Palmarici.

Da subito il piccolo Geronimo viene avviato alla carriera ecclesiastica; il  27 novembre 1654 i genitori, con atto del notaio Scipione Forte di Salice, gli donano tutti i loro beni consistenti in diversi tomoli di terreno,  più 150 alberi di olivo, e, inoltre, “le casamente in questa Terra di Salice con camere, puzzo, curti, palmento, cortiglio, e tutti altri suoi membri ut iaceant, con tutti li suppellettili di casa, eccetto vestiti pannamenti e suppellettili donneschi per potersino applicare al futuro matrimonio d’Anna Maria sua sorella e figlia legittima e naturale d’essi coniugi”.

Con lo stesso atto il dr. Luca Giovanni dona al figlio Geronimo: “…tutto il studio delli libri di medicina, e d’altre scienze, lasciato dalla bona memoria di Geronimo Marciano avo di detto chierico Geronimo juniore e padre d’esso Luca, caso che detto chierico volesse studiare in medicina ed arrivare al grado di doctorato di medico, d’altro modo resta in pleno dominio d’esso Luca, nemini bona predic ti ut supra descripti “.

Viene inoltre fatto obbligo al donatario di non vendere e di non alienare i beni ricevuti, nonché di dotare la sorella Anna Maria quando troverà occasione di contrarre matrimonio. Altra condizione apposta nell’atto era quella che “qualora il chierico D. Geronimo non sarebbe asceso al grado di Prete o Sacerdote di Messa entro il trentesimo anno di età, la donazione non s’intenda valida, ma nulla e cassa, e come se non fusse fatta” (4). 

Due anni dopo, il 2 febbraio 1656, muore improvvisamente a Leverano il dr. Luca Giovanni Marciano. Non essendovi più motivo di continuare a risiedere a Maruggio, la vedova Isabella Mavaro rientra a Salice suo paese di origine insieme ai figli Geronimo e Anna Maria,

Geronimo, già chierico nella chiesa di Maruggio, al suo arrivo a Salice diventa assiduo frequentatore della chiesa matrice ma sembra che non fosse molto convinto di continuare il percorso per ascendere al sacerdozio; poi nel 1670, quando aveva già 23 anni ed era chierico da 16, invia una supplica all’arcivescovo di Brindisi perché lo facesse ascendere all’ordine del suddiaconato:

“Ill/mo e rev/mo Monsignore. Il chierico Geronimo Marciano di Salice humilissimo suddito di V.S. Ill/ma, con supplica l’espone, come desidera nelle prossime venture quattro tempora di 7/mbre ascendere all’ordine del suddiaconato. Però supplica V.S. Ill/ma restar servita ordinare al Rev. Arciprete di detta Terra celebrasse le tre canoniche monitioni che il tutto lo riceverà a gratia di V.S. Ill/ma, ut Deus” Salice 22 agosto 1670 (5).

Nei giorni successivi il sacerdote Giuseppe Maria Mogavero, vicario foraneo delegato dal vicario generale, assume le rituali informazioni per verificare il possesso dei requisiti stabiliti dal Concilio di Trento nonché l’idoneità del patrimonio sacro visto che la sua originaria consistenza si era ridotta per effetto della costituzione della dote alla sorella Anna Maria (6).

Dopo pochi mesi però si verifica qualcosa di insolito: Geronimo Marciano, semplice chierico della chiesa matrice di Salice fino a tutto il 1670, agli inizi del 1671 viene incaricato dall’arcivescovo di Brindisi monsignor Francesco de Estrada (1659-1671) di reggere l’arcipretura di Guagnano (7) resasi vacante per la morte del titolare U.I.D. don Cesare Passante, incarico che viene svolto dal Marciano fino all’insediamento dell’arciprete titolare don Paolo Riglietta (1678-1699) nominato in seguito a procedura concorsuale disposta dal nuovo arcivescovo monsignor Emmanuele Torres (1677-1679). Indubbiamente don Geronimo doveva essere una persona molto istruita e colta diversamente non si comprende come sia stato possibile affidare ad un semplice chierico la reggenza di una arcipretura.

Rientrato a Salice don Geronimo (che nel frattempo era stato consacrato sacerdote), viene ammesso nel capitolo con gli stessi oneri e onori degli altri sacerdoti, ma al Marciano più che la celebrazione dei riti religiosi, interessava trascorrere le giornate in compagnia di donne di malaffare nonché dare libero sfogo alla sua vocazione letteraria componendo poesie e sonetti che poi declamava pubblicamente in occasione di cerimonie civili e religiose.

In tutte le visite pastorali eseguite in quegli anni dagli arcivescovi di Brindisi ci sono riferimenti alla condotta per così dire scandalosa tenuta da don Geronimo segnalata da cittadini e dagli stessi sacerdoti, ma a nulla valsero i ripetuti richiami, ammonimenti, minaccia di scomunica a divinis da parte dell’arcivescovo.

Poi nel 1710 si ve rifica quello che può essere considerato l’inizio della fine. La sera del 4 maggio 1710, giorno di domenica, lo spiazzo antistante la chiesa parrocchiale di Salice è gremito di gente che ivi si era radunata per assistere ad uno scandalo enorme: don Geronimo era entrato e non era più uscito da casa di Antonia Giorlia conosciuta come donna scandalosa; il mormorio giunge all’orecchio di Agata di Gallipoli, altra donna scandalosa, con la quale don Geronimo aveva pure una relazione, la quale appena informata di ciò che stava accadendo, accecata dalla gelosia, si reca in piazza e incomincia a gridare e a pronunciare parole offensive e scandalose all’indirizzo di don Geronimo e della sua compagna, dicendo: “… che lo farà carcerare…. non tiene niente più di dare e poi schiattare,…non ha né robba né genitali…forfante mariolo…”.

Immediatamente l’arciprete don Gioisia Bortone (Veglie 1651, Salice 1736) relaziona al vicario generale il quale, acquisite le testimonianze di quanti avevano assistito allo scandalo, il 10 maggio successivo convoca don Geronimo a Brindisi e lo fa rinchiudere loco carceris, nel convento dei Cappuccini; lo stesso giorno don Geronimo sottoscrive formale impegno di non uscire dal convento per qualsiasi ragione, senza autorizzazione del vicario generale, sotto pena di ducati 200.

L’istruttoria che segue non lascia dubbi sulle reità, anche pregressa, del sacerdote e quindi viene rinviato a giudizio. Don Geronimo sapeva benissimo come funzionavano queste cose all’interno della curia; sapeva quindi che per evitare una pesante condanna e riacquistare la libertà era sufficiente ribadire l’obbedienza, riconoscere le proprie colpe, rinunciare al processo e implorare la clemenza dell’arcivescovo.

Il 10 giugno mette in atto il suo proposito e scrive il suo memoriale al vicario generale don Pietro Falces (8) non già con la solita lettera bensì con un sonetto, sfoggiando la sua ben nota vocazione letteraria (Doc. 1).

Il vicario generale, seguendo la prassi che ormai da anni si era consolidata nella curia di Brindisi, gli concede la grazia imponendogli però l’extra feudo, vale a dire l’obbligo di dimorare per almeno cinque anni in una località distante almeno 10 miglia dal luogo dove erano stati commessi i reati; con lo stesso provvedimento lo obbliga a dimorare nel convento dei Padri Cappuccini di Casalnuovo (Manduria).

Ottenuta la grazia don Geronimo si sente in dovere di ringraziare il vicario generale e lo fa a modo suo con un altro sonetto (Doc. 2).

La grazia concessa, per la verità non poteva considerarsi veramente tale, perché don Geronimo non disponendo più delle rendite del capitolo di Salice e non potendo far parte del capitolo di Manduria, si vedeva costretto per sopravvivere ad elemosinare la celebrazione di qualche messa nelle chiese rurali. Non è da escludere che durante la sua permanenza a Manduria abbia venduto tutti i libri di medicina e di altre scienze, che gli erano stati donati nel 1654 dal padre dr. Luca Giovanni, e che erano appartenuti al medico e filosofo leveranese Geronimo Marciano, suo avo.

Don Geronimo muore a Manduria il 28 febbraio 1714, povero e dimenticato da tutti.

Antonio De Benedittis

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Foto in alto: parte iniziale del secondo sonetto inedito (v. doc. 2)

 

(1]) Leopoldo QUARTA sostiene che: la fama di questo così detto letterato settecentista supera d’assai il valore di lui.  (G. L. QUARTA. Salice Salentino dalle origini al trionfo della Giovane Italia, a cura dell’Amministrazione comunale di Salice, Grafiche Panico, Galatina 1989, p. 96).

(2) Il Fonte Pliniano prende il nome da Plinio il Vecchio che, avendolo visitato direttamente oppure avendone ricevute notizie da altri, lo descrive nella sua opera Naturalis Historia. La sorgente d’acqua è nascosta all’interno di una grotta larga circa 18 m. di diametro, cui si può accedere tramite una scalinata. A rendere il luogo più incantevole contribuisce un grande lucernario che si apre sulla sommità della volta. In corrispondenza del lucernario, esternamente, vi è la rappresentazione dello stemma civico della città, ossia l’albero di mandorlo all’interno di un pozzo (da internet).

(3) Diversi autori indicano come anno di nascita il 1632 riprendendo quanto riportato dal De Nisi (G. DE NISI, Salice Terra Hidrunti, Ostia Lido, 1968, p. 97) che, come unico riferimento prende in considerazione la data del matrimonio dei genitori (2 marso 1631) fissando la data di nascita all’anno immediatamente successivo; a conferma invece che l’anno di nascita è il 1647 c’è l’affermazione dello stesso D. Geronimo che nel 1703, chiamato a testimoniare innanzi all’arciprete Cavallo di Guagnano, in occasione dell’istruttoria di un procedimento penale, fornisce le sue generalità dichiarando, sotto giuramento, di avere 56 anni: Reverendus Jeronimus Marciano sacerdos terrae Salicis aetatis suae annorum quinquaginta sex circiter. (BIBLIOTECA ARCIVESCOVILE “A. DE LEO”. BRINDISI. = B.A.B.) Archivio storico diocesano, Acta criminalia, Salice. Cr. 37, c.3r.

(4) B.A.B. Archivio storico diocesano. Cursus sacerdotali, Salice, Cs.121, cc.252r-253r.

(5) B.A.B. Archivio storico diocesano, Cursus sacerdotali, Salice, Cs.121, c.249r.

(6) Il 6 settembre 1670 Anna Maria Marciano e il marito Gregorio Provenzano di Laurino dichiarano, innanzi al notaio Scipione Forte di Salice, di aver ricevuto dalla madre e dal fratello D. Geronimo i beni dotali che gli erano stati promessi il 10 giugno 1664 in occasione della stipula dei capitoli matrimoniali innanzi allo stesso notaio. Oltre ai beni promessi in precedenza ad Anna Maria Marciano vengono donate anche le case (che) possedono in Santa Maria de Nove, con tutti i suoi membri di valore di ducati 300 in circa.  (B.A.B. Archivio storico diocesano, Cursus sacerdotali, Salice, Cs.121, 254r-256r).

(7) GINO GIOVANNI CHIRIZZI, Serie di sindaci e arcipreti di Campie, Guagnano, Salice, San Donaci, San Pancrazio in età moderna, in “Annuario 2003-2004”, Liceo Ginnasio statale G. Palmieri, Edit Santoro, Galatina.

(8) La curia arcivescovile di Brindisi, in quanto sede vacante, era retta dallo spagnolo d. Pietro Falces, nipote dell’arcivescovo mons. Giovanni Falces (1605-1636).