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Narrativa - 14 Dic 2020

Al massimo ti racconto un sogno

L’esperienza di un medico in prima linea nella lotta contro il Covid offerta in chiave narrativa. Il racconto breve, che richiede una lettura attenta (ma piacevole) per scoprire la realtà oltre l’onirico e le immagini “leggere” di un passato senza il dramma della pandemia, è firmato dal salicese Francesco Tondo, radiologo dell’ospedale di Manduria

 


Spazio Aperto Salento

Le luminarie sono distanti tra di loro, ma la luce colorata riscalda la strada in questa serata di inizio autunno.
Le feste patronali sono uniche nel perpetuo ripetersi di gesti, profumi, sapori e suoni.

Sono riuscito a spostarmi a lato della bancarella, per sgranocchiare in pace quelle noccioline con la glassa di zucchero intorno, nel sacchetto bianco, mi ricordano l’estate.

Guardo Laura che si alza sulle punte, si sposta a destra, urta, chiede scusa alla nonnina, si sposta a sinistra; riesce a dare un’occhiata anche lei alla bancarella dei monili luccicanti, che la signora Africana ha sistemato ben in mostra.

Mentre Irene mi domanda:

–  Cosa è quella botte con quella cosa gialla dentro!
–  Pesce con l’aceto papà!

Arianna mi spinge verso la giostra dei cavalli, o meglio giostra piena zeppa di bambini sopra alcuni poveri cavalli; le mamme dei ragazzi più grandi parlano di Dad, senza distogliere lo sguardo dai propri figli.

Le urla dei venditori, le voci e i gesti dei gruppetti di ragazze, il mormorio delle comari sedute fuori dalle porte, il tutto si avvolge muto, al passaggio della banda trionfale, che con le note dell’Aida, dal monumento dei Caduti si dirige verso il Convento a passo di bersagliere.

Di colpo il freddo delle mani sui miei occhi, poi la voce:

– Chi sono?…

Un abbraccio.

– Cosa fai in mezzo alla gente?
– Ora posso.
– La terapia come va?
– Bene, ma domani sentirò l’oncologo.
– Forza!

Comincia a fare freddo, è tardi per le bambine, supero la pasticceria Giuri per andare verso casa e incuriosito dai musicisti che imperterriti continuano a suonare… mi avvicino.

Non hanno più il cappello e la divisa con i gradi, che da bambino mi piacevano un sacco; molti indossano bermuda estivi e magliette hawaiane.

– Ci mancano i Dpi, – mi dice uno di questi col volto crucciato –  non posso suonare il clarinetto senza mascherina.

Sorrido.

– Anche io col tamburo, ma niente guanti, – dice l’altro.

Mi inseguono sventolando in aria 10, 100,1000 mascherine colorate, cado.
La dottoressa rianimatrice indossa una cuffia con Topolino e Minnie.

– Cosa è successo? – le chiedo.
– Ti stavi agitando nel sonno.
– Dove siamo?
– In ospedale.
– Di quale città?
– Manduria.
– Che anno è?
– 2021.
– Perché hai quella tuta?
– È in corso una pandemia.
– Quanti morti?
– Tanti, i più deboli, gli oncologici, immunodepressi, malati terminali, non solo i poveri anziani delle case di cura come si sente in Tv.
– Poveri nonni morire da soli, la nostra memoria volata via, senza il conforto di un figlio, senza il chiasso dei nipotini nella stanza.
– Eh già…
– Quanti colleghi?
– Troppi, ma non solo medici, anche infermieri, tecnici e ausiliari. Ora ti devo intubare.
– È proprio necessario?
– Sì.
– Perché?
– Cosi la smetti di farmi domande e respiri meglio. – Sorride.

Il rumore delle campane, il suono delle campane, mamma le campane…. apro gli occhi, sono sveglio, sono le 7 di mattina. Prendo il telefono, chiamo mia moglie.

– Tutto ok?
– Tutto ok. Che hai?
– Niente, ma lavorare in un ospedale costruito a fianco ad una chiesa non è il massimo, soprattutto dopo una notte insonne e, a tratti, piena di incubi. A dopo.

Mi lavo, metto il cappotto verde, quello della prima ondata, mascherina, con il nastro sopra il naso per non appannare gli occhiali, timbro l’uscita, saluto il vigilantes intento a far entrare l’ennesima ambulanza Covid, corro a prendere la macchina.

Oggi è finalmente il giorno del Vaccino non voglio mancare… o è un sogno?

Francesco Tondo
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