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Turismo - 04 Apr 2021

Il Castello di Otranto: i sotterranei, la leggenda dei fantasmi e una storia d’amore

Un “viaggio” all’interno delle mura dell’antica fortezza aragonese alla scoperta di  affascinanti “segreti”


Spazio Aperto Salento

L’impatto visivo delle mura possenti ed il maestoso fossato che gli gira attorno, pongono in secondo piano, nel Castello aragonese di Otranto, i sotterranei completamente restaurati. Ma per chi, come noi, ha avuto il privilegio di percorrerli, è solo apparenza. Certo, non sono possenti come le mura né maestosi come il fossato, ma il fascino che suscitano, non è da meno rispetto alla bellezza complessiva dell’intera struttura, ricostruita dal duca di Calabria, Alfonso d’Aragona, dopo la distruzione avvenuta nel 1480 ad opera dell’orda turca.

I SOTTERRANEI

Rispetto al piano d’ingresso, sul cui portale svetta, a testimonianza della dominazione spagnola, lo stemma dell’imperatore Carlo V, si spingono sino a quasi dieci metri di profondità. Liberati da tonnellate di detriti, hanno ricevuto un’opera di riqualificazione da dieci e lode, che ha avuto persino il merito di non ferirli con tracce nelle quali inserire tubi di plastica per luci e lampade. Per illuminarli, ci affidiamo così al cellulare, che basta ed avanza. A parte i pochi tratti che coincidono con le zone dove lo spazio si fa alto per la presenza degli antichi granai a sacco che servivano anche come vie di comunicazione, tutto il resto è al buio.

Corridoi, slarghi appena accennati, passaggi repentini, pochi gradini per salire e scendere i camminamenti lastricati. Un vero e proprio labirinto, nel quale inoltrarsi senza guida non è consigliabile. E infatti, ad accompagnaci è il sindaco Pierpaolo Cariddi, che forte delle conoscenze derivanti dall’essere ingegnere civile, oltre che del solido amore per la città dove è nato e vive, ad Otranto ha dedicato due importanti volumi delle Edizioni Esperidi: “Otranto intra moenia, dagli aragonesi ad oggi” nel 2014 e “Otranto, forma urbis, dal primo giorno” nel 2016.

Grazie alla sua guida, il percorso si fa snello ed informato, e via via apprendiamo che nel Medioevo, quando gli assalti venivano portati con armi di metallo e palle di fuoco e braci incandescenti lanciate dalle catapulte, le mura si sviluppavano in altezza, mentre quando giunse l’era dello sparo radente, per arginare i danni prodotti dai primi cannoni, si mirava ad ispessirle, soprattutto nelle parti basse.

LA LEGGENDA DEI FANTASMI

Non solo storia, nel Castello di Otranto, che ha pianta pentagonale con tre torri cilindriche: Ippolita, Duchessa, Alfonsina ed un bastione a forma di lancia con la punta rivolta verso il mare, di fronte al quale s’apre il porto turistico e commerciale. C’è, infatti, anche la leggenda. La più interessante e suggestiva, riguarda il fantasma con la testa mozzata, che in sella ad un cavallo, soprattutto nelle calde notti estive, vaga proprio nei sotterranei, ed a volte si spinge all’esterno, per percorrere il circuito del fossato, anch’esso mirabilmente recuperato.

Appartiene, lo spettro, al conte di Conversano, Giulio Antonio Acquaviva, che per dare man forte ai vicini amici alle prese con l’assalto dei turchi sbarcati ad Otranto solo per caso (diretta a Brindisi, la flotta guidata da Mechmèt Pascià per conto del sultano Maometto II, si bloccò prima a causa dei forti venti), da Sternatìa dove viveva, mosse senza indugi a capo di un piccolo esercito. Dopo essersi battuto valorosamente, una scimitarra gli troncò il capo, che miracolosamente cadde sulla nuda terra solo quando il destriero ritornò a Sternatìa.

Il fantasma del conte Acquaviva non è il solo che s‘aggira nel Castello. C’è anche quello di Alfonso il Benigno, che di Otranto fu principe. Di lui si parla nel primo romanzo gotico della letteratura mondiale, “The castle of Otranto” del 1765, scritto dall’inglese Horace Walpole (1717-1797), per dire che schiacciato dal pesante elmo della statua in marmo che lo ritraeva, sotto il suo peso trovò la morte Corrado, figlio prediletto di Re Manfredi di Svevia. Desideroso di rimpiazzare il figlio morto con un altro erede, quest’ultimo tentò di congiungersi con la nobildonna che avrebbe dovuto sposare proprio Corrado, Isabella, figlia del marchese di Vicenza, ma a sbarrargli il passo, apparve lo spettro di Alfonso il Benigno. Approfittando dello smarrimento del sovrano, attraverso un passaggio segreto che collegava ben oltre le mura cittadine, il maniero con l’Abbazia di San Nicola di Casole, la malcapitata riuscì a fuggire sino a spingersi nella lontana Leuca.

UNA STORIA D’AMORE

E poteva mancare, in un Castello, una storia d’amore? Otranto ha pure questa. Nella Cappella del XVI secolo che s’apre subito a destra dell’ingresso, essa è rammentata in un tenero epitaffio impresso su un settecentesco monumento sepolcrale in pietra leccese, sul quale si legge: “Qui giace un esempio di pudicizia e un modello di onestà, dall’aspetto di una dea (oh, quale dolore!), donna Teresia de Azvedo. Discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venne improvvisamente rapita dalla morte il settimo giorno delle calende di marzo 1707. Il suo dilettissimo marito, don Alfonso de la Serna e Molina (proprietario regio e prefetto del Castello), pose qui questa lapide sepolcrale. Egli spera che al momento della sua morte seguirà la sua degnissima moglie, come in terra così in cielo”.

Oggi l’antica Cappella, sconsacrata dopo la rimozione dell’altare, degli arredi sacri e delle tele, è adibita ad ufficio informazioni. Per quanto semplice nonostante i pochi affreschi che rimandano ad un cielo stellato rimasti sul soffitto (fra essi anche un’immagine di don Francisco), meriterebbe ben altra destinazione. Al pari, se non meglio, della grande sala che la sovrasta, nella quale spiccano i pezzi di un pregevole portale con l’epigrafe dedicata al primo vescovo di Otranto, Serafino, giunto con dignità di sacerdote al seguito degli aragonesi, subito dopo il nefasto passaggio dell’orda turca e l’eccidio degli ottocento otrantini che nel 1480 non vollero rinnegare la fede cristiana, subendo la decapitazione.

Toti Bellone

  © Riproduzione riservata

 

Foto in alto: I sotterranei del Castello di Otranto. Nelle successive quattro foto: altre immagini del “labirinto”

 

Otranto, l’ingresso del castello con lo stemma di Carlo V

Il capiente atrio

Uno dei possenti bastioni

Uno scorcio del grande fossato

Gli affreschi della Cappella sconsacrata

L’epitaffio dedicato a donna Tiresia