Rischiarato da una luce soffusa che gli conferisce un’aura di spiritualità, nell’antico ambiente ipogeo svettano 65 colonne intrise di mistero
Nell’ovattato silenzio del primo pomeriggio, attraverso l’ingresso secondario, un’inezia rispetto alla magnificenza del principale su cui svetta il rosone in stile gotico-arabo, veniamo rapiti dalla suggestiva e per certi versi misteriosa bellezza della Cripta della Cattedrale di Otranto.
IL FASCINO DELLA CRIPTA
Il primo impatto è con la riuscita illuminazione, che dona all’ambiente fatto di eleganti colonne e mirabili affreschi, evidentemente sotterraneo rispetto alla Chiesa che la sovrasta, un’aura di spiritualità. A differenza di quasi tutte le altre sparse sul territorio nazionale, interrate e prive di luce diretta, l’otrantina gode del chiarore che filtra da cinque finestre, e dell’altro, che quando viene lasciata aperta, proviene dalla strada su cui affaccia una porta, realizzata per consentire l’ingresso di fedeli e turisti, nel 1987, anno in cui venne dato il via al restauro del celeberrimo Mosaico del 1163 (monumentale opera dei monaci basiliani della vicina Abbazia-Monastero di San Nicola di Casole, guidati da fra’ Pantaleone), che nella Cattedrale costruita un secolo prima e dedicata a Santa Maria Annunziata, funge da preziosissimo pavimento.
La sua caratteristica principale, è nelle 48 campate voltate a crociera, rette da 42 colonne più altre 23 mezze colonne attaccate alle pareti. Poca cosa rispetto alle 336 della sontuosa “Cisterna Yerebatan” di Istanbul a cui viene spesso paragonata, ma di altrettanto valore storico ed artistico, oltre che quasi labirintiche nel loro susseguirsi fra le cinque navate e le tre absidi semicircolari in cui si trovano. Di differenti dimensioni e qualità, perché assemblate con materiale recuperato dai palazzi della zona, sono in marmo grezzo o levigato, e sorprendono per l’offerta figurativa dei capitelli, inquadrabili fra la tarda-antichità (III-VI secolo dopo Cristo) ed il primo romanico (albori dell’XI secolo). Alzando solo di poco lo sguardo, si subito nota che sono uno diverso dall’altro: dalle figure di animali quali uccelli, leoni ed aquile, agli elementi vegetali come palmizi, racemi e foglie di acanto, passando per le croci, simbolo cristiano per eccellenza. Ma al visitatore non sfugge soprattutto la varietà degli stili (islamico, persiano, bizantino, corinzio, libanese, ionico), voluta per rappresentare tutte le culture del mondo allora conosciuto, in modo da far sentire il pellegrino giunto nell’antica Hydruntum, accolto come fosse nel Paese natale.
Ad accrescere la bellezza della Cripta della Cattedrale, sono poi gli affreschi che adornano le pareti. I pochi, purtroppo, risparmiati dalla furia degli invasori ottomani, che nel 1480, presero d’assedio la città poi diventata degli 813 martiri, decapitati il 14 agosto di quello stesso anno sul Colle della Minerva, su ordine del loro condottiero, Gedik Amhet Pascià, per non aver voluto ripudiare la fede cristiana. Allorché, cancellando ogni simbolo di quel credo, trasformarono la grande Chiesa in una Moschea, anche nella Cripta distrussero o coprirono ogni raffigurazione della cristianità, risparmiando solo la Madonna Ogiditria dell’XI secolo, di gusto pregiottesco, che brilla nell’abside dell’altare centrale, ed il cosiddetto Cristo Maestro del XIII secolo, capolavoro pittorico di scuola italo-greca. Nel tempo, i restauri hanno consentito di farci ammirare ancora oggi, pure i tre affreschi parietali d’epoca bizantina, raffiguranti San Nicola, una Natività ed i Santi Antonio e Francesco.
MISTERO FRA LE COLONNE
La loro bellezza si tinge di mistero nella conta del numero totale, 65, fra monolitiche ed addossate alle pareti, che da sempre suggestiona soprattutto i bambini, ai quali ad ogni visita, i genitori affidano, come volessero metterli alla prova in quanto ad intelligenza e spirito di iniziativa, proprio l’arduo compito di contarle. Se non da secoli, visto che in merito non esistono documenti, ma di sicuro da molti lustri, ad ogni conteggio, così come vuole comunque la tradizione orale, se pure contate più volte di seguito, il loro numero non risulta mai uguale. Per questo, decennio dopo decennio, tale pratica, tuttora attuale, unitamente a quella spirituale, contribuisce a donare alla Cripta otrantina, anche un’aura di suggestione. Una sorta di mistero, appunto, che va di pari passo all’altro dei crani e delle ossa dei martiri, conservati nei sette armadi della Cappella, che nella Chiesa-Cattedrale elevata a Basilica nel 1945 da Papa Pio XII, e da allora monumento nazionale, si trova a lato dell’altare maggiore. Dietro il quale, è conservato pure il sasso su cui gli sfortunati 813 martiri poggiarono il capo destinato alla decapitazione. Ai pochi visitatori che ancora non ne conoscono la tragica storia, e sino a che non vengono edotti, soprattutto ai bambini, quei miseri resti instillano immantinente proprio l’idea dell’arcano. La stessa, che di lì a poco, scendendo le scale, proveranno nella favolosa Cripta delle 65 colonne.
Toti Bellone
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Foto in alto: la Cripta della Cattedrale di Otranto (© T.B.)
Una veduta delle campate voltate a crociera (© T.B.)
Particolare di uno dei capitelli (© T.B.)
L’affresco della Madonna Ogiditria (© T.B.)
Gli affreschi rimasti sulle pareti (© T.B.)